Anonimato nella letteratura

L’ anonimato nella letteratura 

La difesa della libertà

Sono tantissimi gli scrittori che, nel corso dei secoli, hanno deciso di firmarsi con un nome fittizio anziché utilizzare il proprio. I motivi per rimanere nell’anonimato sono i più disparati e sono strettamente collegati all’epoca in cui vissero. Se si pensa alle donne del passato, per esempio, si capisce perché preferissero firmarsi come uomini per pubblicare le proprie opere. Se guardiamo ancora più indietro, a volte ciò veniva fatto per denunciare azioni illecite e persone malvagie senza rischiare di morire. Ma quali sono oggi i motivi che spingono gli autori a rinunciare a fama e gloria e a nascondersi dietro un nickname?

Azione di marketing o libertà di agire?

L’accusa che viene rivolta più spesso a chi sceglie l’anonimato per i propri prodotti artistici è quella di farlo esclusivamente per vendere di più. Molti, infatti, non vedono il gesto come un segnale di libertà o di protesta, ma come un’azione di mero marketing. Se la scelta dell’anonimato è accompagnata da una buona campagna pubblicitaria, può diventare un ottimo modo per mettersi in mostra (per quanto paradossale possa sembrare) e per favorire la vendita delle opere. La curiosità spinge all’acquisto nel tentativo di scoprire chi si celi dietro di esse. 

C’è una scrittrice contemporanea in particolare che è stata più volte al centro delle polemiche proprio per questo. 

Il caso eclatante degli ultimi anni: l’ anonimato di Elena Ferrante

Elena Ferrante è il caso letterario degli ultimi anni, nota non solo per aver scelto l’anonimato, ma anche per il talento che emerge da ogni suo scritto.

Per scoprire chi si cela dietro l’abile penna, il Sole 24 Ore nel 2016 ha condotto addirittura un’indagine basata sull’analisi dei redditi registrati da Edizioni e/o e da quelli percepiti dalla principale sospettata, ovvero Anita Raja. La donna, traduttrice freelance, avrebbe goduto di un balzo degli introiti proprio negli stessi periodi di pubblicazione della serie L’amica geniale, non giustificabile altrimenti. Somme perfettamente combacianti con i diritti d’autore di questi libri.

Anita-Raja-Elena Ferrante-Anonimato
Foto di Anita Raja, in arte Elena Ferrante

Ce n’era bisogno?

L’indagine ha destato scalpore non tanto per le conclusioni, ma per il dibattito che si è scatenato di conseguenza: è giusto soddisfare a tutti i costi la propria curiosità fino a violare l’intimità dell’autore? Perché questo bisogno di scoprire la persona dietro i libri? Cosa aggiunge e cosa toglie l’identità dell’artista al suo prodotto?

Gli altri casi di anonimato

Tuttavia, il caso Ferrante è solo l’ultimo di una lunga serie. Molte scrittrici, in passato, sono state costrette a usare pseudonimi maschili nel tentativo di difendersi dalla società patriarcale allora imperante. Charlotte, Emily e Anne Brontë pubblicarono con i nomi Currer, Ellis e Acton Bell. E non erano le sole. Mary Ann Evans si nascondeva dietro il nome George Elliot e Mary Shelley fu addirittura costretta a firmare per molto tempo con nome e cognome del marito. Jane Austen tentò un approccio diverso: i suoi scritti riportavano la firma “A Lady”, proprio a rimarcare orgogliosamente e sarcasticamente che fosse una donna a produrli.

Sorelle Brontë-Anonimato

Alice Sheldon, una questione di principio

Un altro caso eclatante è quello di Alice Sheldon. L’autrice scriveva di fantascienza e firmò tutte le sue opere con il nome di James Tiptree. I lettori erano coscienti che si trattasse di un nome fittizio e furono fatte diverse speculazioni, anche da molti colleghi autori. In tanti affermarono con certezza che si trattasse di un uomo. Per mantenere l’anonimato, Sheldon rinunciò anche alla possibilità di vincere il premio Nebula. Il suo libro Le donne invisibili era stato candidato e molti commentarono affermando che proprio ciò poteva dimostrare il fatto che anche gli uomini possono scrivere di donne simpatizzando con esse. Una beffa, a ripensarci oggi che conosciamo l’identità di Tiptree!

La libertà artistica e la possibilità di esprimersi senza costrizioni legate all’identità sembrarono, per Sheldon, anche in questo caso, più importanti di qualsiasi riconoscimento sociale. Il suo escamotage ebbe il potere di scatenare la discussione sul pregiudizio legato alla scrittura, percepita in maniera diversa se a realizzarla fosse un uomo o una donna.

Alice Sheldon - Anonimato

Anonimato: non sempre in buona fede

Non sempre dietro la scelta dell’anonimato vi sono dei solidi ideali. A dimostrarlo è il caso di J. T. Leroy: più della creazione di un innocente nickname, si è trattato di una menzogna bell’e buona. Dietro il nome J. T. Leroy era stata costruita una storia di povertà e difficoltà fasulle. Secondo ciò che era stato raccontato, l’autore aveva vissuto una vita di stenti, aveva passato parte dell’adolescenza in un consultorio per ragazzi disagiati e, nel tentativo di trascrivere le sue tragiche esperienze, aveva iniziato a scrivere. Nel 1999 venne pubblicato Sarah, l’anno successivo Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa e nel 2005 La fine di Harold. L’autore riscosse numerosi successi, uno dei suoi testi divenne un film. Poi la scoperta: in realtà si trattava di due donne che avevano architettato tutto, Laura Albert e Savannah Knoop, a cui la situazione era sfuggita di mano. Insomma, una frode in piena regola.

J. T. Leroy-Anonimato

Next Audiolibri

Alcune foto presenti sul sito provengono, salvo dove diversamente specificato, da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se la pubblicazione non fosse ritenuta consentita, il legittimo proprietario può contattarci scrivendo a cc@nextaudiolibri.com: l’immagine sarà rimossa oppure accompagnata dalla firma dell’autore, laddove non presente.
Anteprima esclusiva - Podcast, Audiolibri, News

Iscriviti alla nostra newsletter

Condividi questo contenuto
Partecipa alla discussione