Killers of the Flower Moon

Killers of the Flower Moon

Un disegno invisibile di morte

L’ultima opera di Martin Scorsese si discosta, almeno in parte, dai gangster movie ai quali ci ha abituati, andando ad abbracciare una pagina terribile di storia americana. Killers of the Flower Moon (2023) è infatti, prima di ogni altra cosa, un film che vuole raccontare il genocidio silenzioso degli Osage, un popolo di nativi americani che abitavano nella regione delle Grandi Pianure.

Adattato dal saggio Gli assassini della Terra Rossa: Affari, petrolio, omicidi e la nascita dell’FBI. Una storia di frontiera (2017) scritto dal giornalista americano David Grann, la storia si basa per l’appunto su fatti realmente accaduti.

Agli inizi del ‘900, gli stessi anni in cui il petrolio si avviava a dominare il secolo dal punto di vista energetico ed economico, gli indiani Osage si ritrovarono con interi giacimenti sotto il suolo delle proprie terre. Negli anni Venti nessuna popolazione d’America era più ricca di loro.

Killers of the Flower Moon

Un silenzioso genocidio

Scorsese mette in scena un thriller che dialoga con la storia, avendo cura da una parte di ricostruire con accuratezza e sensibilità il contesto sociale in cui è stato possibile che decine e decine di persone venissero uccise senza che nessuno muovesse un dito, e dall’altra restituendo dignità a un popolo attraverso una sorta di giustizia cinematografica.

I primi piani della protagonista femminile Mollie (una bravissima Lily Gladstone) riescono a catturare i dettagli emotivi che definiscono una paura generalizzata e per molto tempo ignorata, lasciata alle spalle come un’ombra: la paura che la loro ricchezza valga enormemente di più delle loro vite. Non c’è prezzo che possa saziare una simile avidità.

Sempre nell’ombra, in modo del tutto speculare alla paura ignorata dagli Osage, agiscono gli avidi e senza scrupoli burattinai della morte, in Killers of the Flower Moon rappresentati da William «Il re» Hale (Robert De Niro). Il fasullo sorriso benevolo, accompagnato da cure e protezione offerte, si trasforma in un ghigno omicida che subdolamente orchestra un complotto ai danni dei nativi.

Un intero giacimento di avidità si nasconde sotto la superficie di quel sorriso compassionevole, senza che un solo schizzo della sua vera natura veda la luce del sole, che ha infettato come un virus il terreno emotivo di un’intera comunità, accentrando su di sé bisogni e speranze, sommerse dall’oro nero e trasformate in dolore e morte.

Killers of the Flower Moon

La cosa giusta

Il sempliciotto Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), nipote di William Hale, asseconda i piani dello zio, commettendo furti e omicidi ai danni degli Osage, anche di propria volontà. È troppo semplice colpire l’ingenua bontà, seduta su valanghe di denaro, per non approfittarne.

Ernest è un personaggio volutamente ambiguo, che non sa oppure fa finta di non sapere che, seguendo gli ordini dello zio, in realtà sta avvelenando la propria moglie Mollie, madre dei suoi figli. Non si riesce a comprendere fino in fondo se quello che prova è un dolore sincero per l’aggravarsi delle condizioni della donna, oppure se è soltanto un vuoto ma consapevole senso di colpa. È inoltre possibile che le sue emozioni siano mescolate e in continua evoluzione.

Ciò che importa è che (quasi) in ogni storia, presto o tardi, arriva qualcuno che fa la cosa giusta, con più o meno convinzione. Nel caso presente è proprio lui, Ernest, che testimonia contro suo zio, ammettendo a sua volta le proprie colpe, perché capisce che è l’unico modo che ha di proteggere sua moglie e i suoi figli.

La cosa giusta non cancella alcuna colpa, ma al mondo c’è bisogno di buone azioni.

Killers of the Flower Moon

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