Assisi. Serata fredda. Si va a teatro per uno spettacolo su Jean-Baptiste Poquelin, in arte – e che livelli raggiunse nella sua arte, quella teatrale – Molière!
Uno spettacolo su, non di. È un po’ inusuale, no? L’ha ideato, scritto e interpretato Fabrizio Falco, siciliano, attore e regista teatrale, anche attore di cinema, giovane ma non troppo, diplomato alla “Silvio d’Amico”.
Ci sono andato proprio per questo, perché lo spettacolo è su Molière, e Fabrizio – classe ’88, che ha già in bacheca il premio Ubu e il premio Mastroianni – ha tutte le carte in regola per fare uno spettacolo, un monologo, su Molière, perché ha realizzato un paio d’anni fa anche uno spettacolo di Molière, Il misantropo. E poi un po’ gli assomiglia.
Mm, forse neanche più di tanto.
Ci sono andato per altri due motivi: uno è che Il Piccolo Teatro degli Instabili è un prezioso gioiellino nel centro di Assisi, con il suo piccolo foyer dietro la cassa, le sue sedie rosse, il suo programma di qualità e i suoi giovani e freschi 20 anni (fondato nel 2002 da Carlo Angeletti e portato avanti egregiamente dalla figlia Fulvia).
Poi perché sono due anni importanti, questi, per questo gigante del teatro, e noi di NextAudiolibri stiamo lavorando su un podcast su, non di, Molière, perché l’anno scorso, nel 2022, Jean-Baptiste Poquelin compiva 400 anni e quest’anno, nel 2023, si celebrano i 350 anni dalla morte di Molière. Nascita di un uomo e morte di un artista. E a noi pare quantomeno doveroso ricordarli entrambi, sia l’uomo che l’artista.
Molière unamensciò (o come volete voi).
Veniamo a questo Molière unamensciò (o come volete voi).
Fabrizio entra su una scena spoglia (un leggio con il copione appoggiato sopra, una sedia, una bottiglietta d’acqua), vestito con giacchetto di jeans, t-shirt dei Rolling Stones, un paio di jeans e sneakers, ma con in testa una parrucca secentesca.
Inizia titubante, incerto – volutamente, s’intende, tutto in questo monologo è studiato, ogni dettaglio è ragionato, soppesato, niente è lasciato all’improvvisazione, Falco è un professionista quasi maniacale.
Un esempio su tutti: a un certo punto si inceppa, il suo soliloquio ha un momento di esitazione, allora Fabrizio che fa? Fa mica finta di niente, non va avanti, tanto lo spettacolo è il suo, chi conosce il testo? Invece va a riprendere in mano il copione, rilegge la battuta e si sblocca, non sopporta di dirla male, di saltare le parole che ha scelto, meditato, soppesato.
Ogni singola parola è importante, è un tassello di questo grande puzzle.
Ed è un fiume di parole, Fabrizio Falco, che a volte procede lento, a volte torna un po’ indietro, a volte fa salti in avanti, spesso esonda, deborda, trascina tutto con la sua furia, è impetuoso, e il pubblico lo segue per tutta quest’ora in cui Jean-Baptiste nasce, cresce e si fa strada nel mondo (il rapporto col padre, tappezziere del re, che lo vuole con lui a corte, che gli vuole dare un lavoro sicuro e ben remunerato, ma nulla può – e per fortuna – contro un figlio che prima studia diritto per far qualcos’altro, nella vita, che non sia il mestiere paterno, ma poi capisce che lui la vita la deve fare a teatro, che quel mondo lì è il suo, ne va della sua vita, forse è colpa del nonno che lo portava a teatro, chi lo sa?), poi l’uomo diventa l’artista che ricordiamo e che ricorderemo sempre, cioè Molière, un nome che nessuno sa che significhi o da dove provenga, e sciorina – incantando – i suoi successi, e gli insuccessi che furono tanti, e le polemiche contro la Chiesa e i dottori, e l’amicizia col fratello del Re, e la protezione del Re, e la bella Madeleine Béjart – di 4 anni più anziana di lui – e la bella Armande Béjart – di 20 anni più giovane di lui – e l’attore La Grange con il suo registro in mano senza il quale nulla sapremo del nostro amato Molière.
Ecco, mi sono fatto prendere la mano, ma lo spettacolo è così. Fabrizio Falco sfida se stesso in questo monologo, cita Ascanio Celestini e Marco Paolini, si scusa col pubblico, forse non è all’altezza del ruolo che si è dato, ma la sua è un’urgenza interiore, e allora dico che fa bene, a portare avanti questo spettacolo – nonostante qualche aspetto da migliorare: la pronuncia errata di molti nomi francesi, primo su tutto Poquelin ma pure Louis; alcuni giochi scenici solo accennati come la giustificazione della sedia vuota per la mancanza del musicista; il troppo discorrere della persona (Fabrizio) e il poco spazio lasciato al personaggio (l’attore in scena che interpreta); la chiusa non all’altezza del monologo.
Fa bene, anzi benissimo, a portare avanti questo spettacolo in giro per l’Italia, lo ripeto, come qui, al Piccolo Teatro degli Instabili, non solo perché è doveroso ricordare i giganti che ci hanno preceduto, ma perché è necessario riflettere ancora sull’importanza del teatro come specchio della società e come indagine della natura umana in tutti i suoi aspetti.
Evviva Falco
Evviva Molière
Evviva Il Piccolo Teatro degli Instabili
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