Un Neorealismo sui generis
Ultimo viene il corvo forse non è tra le raccolte di racconti più celebri di Italo Calvino, ma è senza ombra di dubbio tra le più interessanti; si tratta di un volume che comprende trenta racconti di varia lunghezza scritti tra il 1945 e il 1949, pubblicati nella collana «I coralli» di Einaudi, casa editrice per la quale Calvino ha lavorato per gran parte della sua vita.
Il titolo trae ispirazione da un racconto che uscì in anteprima nel 1947 sul giornale L’Unità e che riprendeva le tematiche già in parte affrontate dall’autore nel romanzo d’esordio Il sentiero dei nidi di ragno, incentrato sulla sua esperienza vissuta durante la Seconda guerra mondiale; Calvino, infatti, da giovane partecipò attivamente alla Resistenza contro il nazifascismo, unendosi ai partigiani delle Brigate Garibaldi.
La produzione calviniana degli anni Quaranta è perlopiù caratterizzata da un modo di narrare realistico non ancora contaminato da quell’interesse per il fantastico e il fantascientifico che domineranno i romanzi degli anni a seguire.
Ciononostante i racconti di Ultimo viene il corvo paiono già attraversati da un’acuta riflessione sul linguaggio e da piccole incursioni quasi fiabesche.
Il Neorealismo sui generis di Calvino si può facilmente cogliere provando a leggere questi racconti che non sono animati dal consueto ottimismo che di fatto si ritrova nella maggior parte degli scrittori neorealisti del tempo, quanto piuttosto da un particolare sguardo che inevitabilmente tende a “problematizzare” la stessa esperienza della Resistenza: emerge, dunque, inevitabilmente la fatica dell’esistenza, la potenza della sopraffazione e il caos del quotidiano.
Il protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta, ad esempio, è un giovane montanaro che viene arruolato in una banda partigiana e che ben presto si rivela il simbolo della «crudeltà innocente della vita», come ha scritto il critico Geno Pampaloni.
Il ragazzo infatti, non appena riesce a impossessarsi di un fucile, inizia a sparare, per puro divertimento, qualsiasi essere vivente che entri accidentalmente nel suo raggio d’azione. A cose, animali o uomini spetta allora la stessa sorte, ovvero una morte insensata e ineluttabile, simbolo tangibile del sentimento di sfiducia nei confronti dell’agire umano.
«Quando rialzò il capo era venuto il corvo. C’era nel cielo sopra di lui un uccello che volava a giri lenti, un corvo forse. Adesso certo il ragazzo gli avrebbe sparato. Ma lo sparo tardava a farsi sentire. Forse il corvo era troppo alto? Eppure ne aveva colpito di più alti e veloci.
Alla fine una fucilata: adesso il corvo sarebbe caduto, no, continuava a girare lento, impassibile. Cadde una pigna, invece, da un pino lì vicino. Si metteva a tirare alle pigne, adesso? A una a una colpiva le pigne che cascavano con una botta secca».


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