Una base disorganica di critica sociale, un protagonista del piatto che perde gradualmente consistenza, delle rifiniture estetiche di pregio e una spolverata di dark comedy e grottesco: eccovi servita la ricetta di The Menu (2022).
Il film, diretto dal regista e produttore televisivo Mark Mylod, si svolge quasi interamente nel ristorante dello chef stellato Julian Slowik (un ottimo Ralph Fiennes), uno dei massimi esperti della cucina molecolare, sempre alla ricerca della perfezione. Viene messa in scena una cena esclusiva su un’isoletta sperduta senza copertura di rete, di modo che ci si possa concentrare solamente sul piatto che ci si trova davanti.
Critici culinari, giornalisti, clienti fedeli, tutti accomunati dalla spocchia elitaria, compongono la rivisitazione allegorica dell’ultima cena che, al netto delle prenotazioni, viene organizzata dallo chef Slowik con non meno accuratezza di quanto faccia con la disposizione degli ingredienti durante le portate lasciate arrivare in sala. Il terrore è presto servito in The Menu.


Commensali come ingredienti
Gradualmente si scopre infatti che lo chef ha scelto le prenotazioni con cura, riunendo tutte le persone fondamentali per la creazione del suo ultimo menu. Saranno proprio i commensali a trasformarsi negli ingredienti di una ricetta senza via di scampo.
Per dimostrare la visione tragica (e veritiera) che ha del rapporto fra una parte della società e il cibo, sublimata nella propria idea di cucina, è sufficiente far sedere i prenotati e aspettare che la tracotanza, l’indifferenza verso il lavoro altrui e la mistificazione del cibo come simbolo di ricchezza coprano ogni altro sapore.
Proseguendo la sottotraccia biblica, all’ultima cena segue il giudizio divino, che in realtà è solo il giudizio non esattamente ponderato di uomo. In effetti, Slowik elargisce colpe con meno parsimonia di quella utilizzata con gli elementi che riunisce nei propri piatti.


The Menu – Estetica e ontologia
Se il tema è (anche) la forma che vince sulla sostanza, l’apparenza sul contenuto, l’estetica sull’ontologia, a riprodurre questo sbilanciamento filosofico c’è una sceneggiatura preconfezionata ma scarna e una fotografia elegante ma senza corpo. Insomma, a fare le spese di un’ingombrate estetica c’è un’ontologia che rimane in ombra, a tratti inconsistente.
Inoltre la chiave horror e la gestione della tensione resistono fino alla fine del primo atto, quando in un sol colpo si palesano le intenzioni dello chef. Subentra da quel momento un grottesco così dominante da cancellare ogni traccia di suspense, al punto che lo spettatore quasi si disinteressa della sorte dei malcapitati.
Ciò che rimane alla fine dell’abbuffata è l’originalità dell’idea e un finale che è pura estetica, anche a livello di regia, con cui si consuma l’ultima portata del menu. Rimane il rammarico di aver perso forse un’occasione per approfondire la critica di una società consumistica che ha fatto del cibo un’ostentazione di ricchezza e rango sociale. Nonostante i clienti siano stati scelti con cura e il concept del piatto finale sia interessante e originale, manca l’amalgama fra gli ingredienti principali, dai sapori non definiti e dalle consistenze etiche bilanciate confusamente.


Alcune foto presenti sul sito provengono, salvo dove diversamente specificato, da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se la pubblicazione non fosse ritenuta consentita, il legittimo proprietario può contattarci scrivendo a cc@nextaudiolibri.com: l’immagine sarà rimossa oppure accompagnata dalla firma dell’autore, laddove non presente.

