Sundown, o Lo straniero ad Acapulco

Scegliamo un film piuttosto che un altro per le più svariate ragioni: pubblicità di cui nemmeno ci rendiamo conto («Ne ho già sentito parlare…»), consiglio di una persona cara («Guardalo, sono sicuro ti piacerà, fidati!»), serata con altra gente («Dai, andiamo al cinema a vedere…»), indifferenza («Vabbè, che me guardo stasera?»), conosciamo pressoché tutto di quel regista o di quell’attrice («Oh, è uscito il nuovo film di… con…»), perché partecipiamo a un mini concorso facile facile e ce lo fanno vedere gratis.

Io… io non so perché ho cominciato a vedere Sundown. Due ottimi motivi sono stati forse il fatto di dover restare chiuso in casa per malattia (non preoccupatevi, ora sto bene, diciamo, anzi, ‘nsomma… no, non sto affatto bene) e la presenza nel cast di un attore incredibile – Tim Roth – e un’attrice eccezionale – Charlotte Gainsbourg.

Vi avverto, la comparazione che segue non può che contenere una profusione di spoiler. Ma noi – io e voi – ce ne freghiamo altamente, degli spoiler, perché «il sugo di tutta la storia» (ricordate il Manzo? L’abbiamo studiato a scuola) è ben altro.

Più vedevo il film, più mi piaceva – per la fotografia, per le vicende, per il ritmo, per l’interpretazione di Tim&Charlotte.

E più mi piaceva, più andavo avanti; e più andavo avanti, più il mio cervello realizzava che la storia ce l’avevo dentro, con qualche leggera modifica qua e là, certo, con delle più o meno geniali trovate, e appena finito il film mi sono messo a scrivere perché la sceneggiatura non è che un adattamento più o meno fedele, o più o meno originale, di un capolavoro che mi sta a cuore.

Questo.

Sundown e Lo straniero, ovvero due racconti sull’indifferenza

Meursault è indifferenza fatta uomo. E pure Neil lo è. Entrambi i personaggi sono estremamente silenziosi, laconici, apatici, abulici. Rispondono alle domande fondamentali con un mutismo ostinato, quasi ebete, che li condanna. Una differenza sostanziale tra i due c’è, però, ed è evidente da subito.

All’apprendere la morte della madre, Meursault chiede due giorni di permesso al principale, che glieli concede: «Con una scusa simile, non poteva dirmi di no».

All’apprendere la morte della madre, Neil segue sorella e nipoti e si reca in aeroporto per essere presenti tutti al funerale. Sarà stata per un’improvvisa perdita del senso del dovere o per paura di affrontare un enorme dolore o perché Acapulco è Acapulco, fatto sta che Neil si ritrae, si isola, non parte.


La morte della madre, ovvero «ma maman est morte»

Camus ci ha lasciato uno degli incipit narrativi più efficaci, più folgoranti di tutti i tempi:

«Aujourd’hui maman est morte.»

«Oggi la mamma è morta.»

Il protagonista de Lo straniero riceve un telegramma dall’ospizio.

Il protagonista di Sundown viene a sapere della morte della madre perché la sorella riceve una chiamata sul cellulare.

Meursault prende due giorni di permesso per recarsi in ospizio e tornare in ufficio dopo un paio di giorni.

La famiglia di Neil è invece in vacanza, in un hotel di lusso, si sta rilassando bevendo margarita a bordo piscina, chi con più alcol, chi con meno.


Meursault e Neil, ovvero mare, morte e sole

Che il cognome Meursault sia geniale non ci sono dubbi. Il nomen omen racchiude l’essenza dell’ambientazione e del clima, quel mare (MER) – pardon, gli appunti riportavano MERSAULT, poi diventato MEURSAULT – quel je meurs (io muoio) dunque la morte, e quel sole (SOLeil), tutti elementi (mare, morte, sole) onnipresenti ne Lo straniero. E in Sundown.

MARE: Al mare Patrice Meursault ci va spesso. Ci va con Maria. È lì che muore assassinato l’arabo. Anche Neil ci va, fa anche placidi bagni nella piscina dell’hotel, ci va con i nipoti e la sorella, va a vedere i tuffi sulla scogliera, ci va con Berenice. Il mare, nel libro così come nella pellicola, che è «la mer toujours recommencée» di valeryana memoria. In Sundance il mare si tinge anche di rosso, di sangue.

MORTE: La morte accompagna Meursault dall’inizio alla fine: la madre, l’arabo, lui stesso. Neil la morte lo sorprende prima lontano (la madre in Inghilterra), poi a qualche metro (sulla spiaggia), e poi ancora.

SOLE: Il cielo algerino e il cielo messicano si assomigliano moltissimo. Direi sono uguali. Diversi fotogrammi di questo film non fanno che evocare quel «le ciel était déjà plein de soleil», un cielo sempre pieno di sole.


Maria e Berenice

La Maria di Camus e la Berenice di Franco sono sostanzialmente identiche. D’accordo, la prima è una dattilografa e la seconda gestisce un negozietto ad Acapulco, ma il loro ruolo nella vita del protagonista è lo stesso.

Maria dice a Meursault di essere più nera di lui, e questo vale anche per Berenice.

Maria fa l’amore con Meursault dopo la morte della madre, e questo vale anche per Berenice.

Maria non abbandona Meursault dopo l’arresto, e questo vale anche per Berenice.


Gli spari (sopra?)

Meursault spara all’arabo che lo minaccia con il coltello. Lo sparo distrugge «l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio di una spiaggia dove era stato felice». Nella frazione di secondo in cui capisce tutto questo, spara altri quattro colpi di rivoltella su un corpo inerte.

Michel Franco compie su questo punto un’operazione geniale, discostandosi dallo scenario camusiano. Neil non ha pistole, non ha armi, non spara a nessuno, ma sulla spiaggia dove è felice risuonano improvvisi dei colpi di pistola. È il preludio alle altre revolverate che lo condurranno allo stesso destino, o quasi, del suo personaggio omologo. L’equilibrio del giorno è distrutto anche per lui.


Algeria e Messico, Algeri e Acapulco

I luoghi dei due mondi narrativi sono completamente diversi ma profondamente uguali. È la stessa mirabile operazione di traslazione geografica compiuta da Francis Ford Coppola in Apocalypse now rispetto al cuore di Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Lì si era trasferita la storia dal Congo al Vietnam. Qui l’operazione è la medesima: si trasferisce la storia dall’Algeria al Messico, da Algeri ad Acapulco. Il risultato è sempre lo stesso, perché il vero significato delle storie è universale. Meursault e Neil sono entrambi stranieri, sono altro rispetto alla popolazione autoctona.

«Ho visto un gruppo di arabi addossati alla vetrina di un tabaccaio. Ci guardavano in silenzio, ma a modo loro, né più né meno che se fossimo stati pietre, o alberi morti.» (Lo straniero)

Neil è sempre circondato da messicani. In spagnolo l’unica parola che conosce è «gracias». Non ci sono altri stranieri come lui, o almeno lui non li frequenta.


Il carcere

Nel carcere Meursault è circondato da arabi. A un certo punto viene trasferito in una cella da solo.

Nel carcere Neil è circondato da messicani. A un certo punto viene trasferito in una cella da solo.

Il carcere rappresenta la tappa finale de Lo straniero, poiché il processo termina – è risaputo, non è uno spoiler poi così evidente – con la condanna a morte del protagonista.

Il carcere non rappresenta la tappa finale di Sundown. Questa è la scelta più importante della sceneggiatura, quella che fa di questo film un’opera originale rispetto al romanzo di Camus, non un calco o un plagio. Ora davvero è meglio che mi taccio, e quindi io qui vi lascio – o gentili lettori, o gentili lettrici.

Ah, giusto, quasi dimenticavo. Tra chi ci invierà una mail a info@nextaudiolibri.com con le tre risposte corrette alle seguenti domande verranno estratte a sorte tre persone che riceveranno un link per la visione gratuita del film. Avete tempo fino a 14 giorni a partire dalla data di pubblicazione di quest’articolo. Partecipa ORA, che aspetti?

Domanda
1.Come si chiama la fidanzata messicana di Neil?
2.In quali Paesi sono ambientati rispettivamente L’étranger e Sundown?
3.Qual è il titolo di Francis Ford Coppola citato nell’articolo? 

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