Foto di Simone Leigh - Blog Next Audiolibri

Simone Leigh, orgoglio dell’arte nera

Arte africana, arte vernacolare e femminismo intrepretati con scultura, istallazioni e performance: questa è Simone Leigh.

Figlia di missionari giamaicani, è nata a Chicago nel 1967 quando ancora i neri erano costretti a stare divisi dai bianchi. Madre single con una laurea in arte e una specializzazione in filosofia, ha fatto per anni l’assistente sociale e ha sempre studiato con passione l’etnografia dedicandosi alla scultura della ceramica nei momenti liberi. «Non ho mai pensato di diventare un’artista ‘in voga’ ma mi rendo conto che il mondo dell’arte sta cambiando e in meglio. Il successo che stanno riscuotendo gli artisti di colore è più una rettifica che una moda.» (intervista a “La voce di New York”, 29 maggio 2019)

Oggi è la più acclamata tra le artiste americane contemporanee, la prima afroamericana a rappresentare (da sola) gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia 2022 che il 23 aprile scorso le ha consegnato il Leone d’Oro per il suo Brick House

Quello statunitense è stato un padiglione tra i migliori, semplice, pulito, magnetico e sorprendente, con larghe vetrate sovrastate da un possente tetto di paglia che ricorda il periodo coloniale in Africa degli anni Trenta. I colori giocano con i loro opposti, ma è l’atavico dualismo tra bianco e nero a condurre il visitatore tra i sentori di storie già descritte, ambienti già visti, vite già conosciute: una casa a ricordare le mille declinazioni dell’Africa, che accoglie nella nitidezza dei grandi spazi e nella luminosità di vetri e acqua, ma dove ogni scultura che si incontra, enorme, nera, lucida e fluida, racconta il non troppo lontano passato della colonizzazione africana e della diaspora. 

All’intero padiglione è stato dato il titolo di Sovereignty (sovranità), termine inteso non con significato politico, ma come sovranità che ciascun individuo ha sulla propria vita senza che un potere esterno gli imponga di essere diverso. Un potente e fermo sprezzo a ciò che è stata la schiavitù, il razzismo e l’ignoranza umana nei confronti dei neri, dell’Africa e delle loro tradizioni che si è manifestato con ogni tipo di violenza senza mai riuscire a cancellare la loro dignità. Il padiglione è anche un raffinato excursus delle opere più potenti della Leigh che ricerca e studia le tradizioni dei popoli africani, nonché delle forme e delle tecniche dell’artigianato vernacolare. 

Le opere delle Leigh sono un rifiuto del souvenir tanto di moda tra i turisti che visitavano l’Africa tra ‘800 e ‘900, considerato mero atto di razzismo e ignoranza verso le forme artistiche e artigianali nel continente africano. 

La sua opera scardina queste forme, le altera, le ricorda, ma le ripropone con variazioni sferzanti che ne dissipano il significato razzista e le colloca nella contemporaneità vitale: «Per raccontare la verità bisogna inventare quel che può mancare nell’archivio, far collassare il tempo, occuparsi di questioni di dimensione, cambiare le cose dal punto di vista formale in modo da rivelare qualcosa di più autentico dei fatti».

È il corpo delle donne nere, bello, sinuoso, austero che diviene casa, intesa come focolare domestico in cui nascono, crescono e si formano intelletti umani capaci di gestire il mondo e le sue contraddizioni. 

La Leigh fa sempre dialogare il passato e il presente dei suoi personaggi in un vortice in cui non esistono popoli minori o maggiori, ma la dignità dell’appartenenza a una precisa etnia. Sono sculture quasi monumentali create con l’antica tecnica della cera persa, smaltate al sale e contaminate da materiali naturali come conchiglie, rafia, tabacco, foglie di banani, tutte con una precisa valenza etica, storica e geografica. 

La spettacolare vasca d’acqua dagli affilati bordi neri contenuta in una bianca stanza ospita la scultura di una grande donna nera china a lavare i panni –Last Garment (l’ultimo indumento)

Simone Leigh - last garment
Simone Leigh – Last garment

– in un contrasto bicromatico di fascino e immediatezza espressiva che nel riflesso dell’acqua trasmette subito il giusto stato d’animo per affrontare questo viaggio fantastico e al contempo reale. Silhouette di corpi neri che sfondano il soffitto, come Sentinel,

Simone Leigh - Sentinel
Simone Leigh – Sentinel

accanto a pezzi di utensili domestici anch’essi lucidi e lisci, frammisti a paglia e vegetali che ricordano scene quotidiane di vita casalinga delle donne nere. La rivisitazione dei “bastoni di potere” con il loro significato apotropaico e di protezione o il monumentale bronzo nero Sharifa,

Simone Leigh - Sharifa
Simone Leigh – Sharifa

creato in onore della scrittrice Sharifa Rhodes-Pitts con volto dimesso che guarda verso il basso e le mani appoggiate, a riposo, sull’ampia veste.

Nelle forme che la Leigh crea c’è la passione per le sue radici, per le donne della sua Africa e per questo è la principale interprete di quel Black Femme che narra nelle sue opere. È stata d’altronde anche la fondatrice dell’associazione “Black Women Artists for Black Lives Matter”. Le sue statue raccontano storie di donne nere, il loro ruolo, la loro forza silenziosa e dirompente, la loro resilienza, il loro spazio nella storia di ieri e di oggi, trapassano geografie e preconcetti razziali, donne convogliate in un presente di cui sono protagoniste attive e indispensabili per costruire il futuro della società.

Il Brick House, premiato alla Biennale, è un maestoso busto di donna nera con lunghe trecce realizzato in bronzo, a cui si aggiunge un’ampia gonna che ricorda una casa d’argilla africana e richiama gli antichi totem delle divinità. Nel 2019 questa scultura è stata esposta sulla 10a Strada di Manhattan come tante sue opere collocate in spazi pubblici di prestigio. È parte di un lungo progetto di ricerca iniziato nel 2016 che prende il nome di Anatomy of Architecture e propone la potentissima commistione tra corpo e architettura. Una ricerca, spesso faticosa per la mancanza di fonti, e tanto studio sono alla base di queste statue dedicate alle donne africane e alla loro dispersione per il mondo. 

Simone Leigh - Brik House
Simone Leigh – Brik House

Ha vinto nel 2018 il premio Hugo Boss e iniziato a esporre al Guggenheim Museum di New York, alla Tate Gallery di Londra e allo Studio Museum di Harlem a cui è seguito l’Hammer Museum di Los Angeles. 

Nel 2014 ha presentato il progetto contro il razzismo nel mondo sanitario The Free People’s Medical Clinic a Brooklyn in cui ha ricercato, discusso e narrato il tema della salute pubblica per le donne nere, ma anche dei tanti infermieri e medici di colore che hanno lavorato per la loro gente. Ha trasformato una casa in uno spazio temporaneo per narrare la storia dimenticata e sconosciuta di questi sanitari neri come Susan Smith McKinney Steward, prima donna nera medico dello Stato di New York,  l’ordine segreto di infermiere – lo “United Order of Tents” – attivo durante la guerra civile, e Josephine English, la prima donna ginecologa afroamericana ad aprire uno studio privato a New York nel quale aiutava le donne di colore a far nascere i propri bimbi tra i quali sono nati anche i due figli di Malcom X. 

Le opere delle Leigh sono state presentate al Whitney Museum of American Art di New York, alla Hauser & Wirth di Zurigo, alla David Kordansky Gallery di Los Angeles. Le opere presenti alla Biennale sono state trasferite all’ICA/Boston con la stampa della prima monografia su Simone Leigh.

Per approfondimenti su Simone Leigh: https://simoneleighvenice2022.org/ in cui si trova il tour guidato del Padiglione USA alla Biennale 2022.

Instagram: @simoneyvetteleigh


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