Rumore bianco è stato presentato nell’agosto del 2022 come film di apertura alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed è poi arrivato nelle sale italiane a dicembre, in concomitanza anche dell’uscita sulla piattaforma del colosso dello streaming Netflix, dov’è tutt’ora disponibile nel catalogo.
La pellicola è stata diretta dal regista Noah Baumbach, che ha scritto anche la sceneggiatura, ed è adattata dall’omonimo romanzo (1985) di Don DeLillo. Sia il libro che l’adattamento cinematografico sviscerano, in modo efficace, la paura più ancestrale di tutte, ossia la paura della morte.
Rumore bianco: tra quotidianità e assurdo
La prima parte del film è una cronaca della routine di una normale famiglia medioborghese americana, con riferimenti più o meno marcati alla masturbazione intellettuale e autoreferenziale del mondo accademico, al consumismo anestetizzante e alla pervasività del rumore, inteso in senso lato anche come informazioni, pubblicità e notizie.
Non è un caso che l’opera originale, nelle intenzioni di DeLillo, si sarebbe dovuta chiamare Panasonic (dal latino, «tutto è rumore»), non ricevendo tuttavia il permesso dall’omonimo brand giapponese a utilizzare il nome.
Un incidente tossico spezza la storia in due parti, con la seconda che rende “tangibile” la paura della morte, fino a quel momento solamente sussurrata. La morte diventa infatti un’ossessione, troppo ingombrate per riuscire a nascondersi dietro a problemi sentimentali e di fiducia.
Sul finale Rumore bianco si tinge di grottesco, strizzando l’occhio – forse pure entrambi – alla fenomenologia dell’assurdo tanto cara ai fratelli Coen. Questo è sicuramente un elemento di novità per la scrittura di Noah Baumbach, profondamente legata all’ordinario e alla quotidianità.
La paura della morte viene goffamente esorcizzata da circostanze surreali, come se queste avessero ripristinato l’auto-illusione consolatoria di una vita stordita dalla percezione del normale e perpetuo trascorrere del tempo.
Memento Mori
«Memento mori» è la nota locuzione latina che significa letteralmente «ricordati che devi morire». Il Prof. Gladney (Adam Driver), protagonista di Rumore Bianco, se ne ricorda soltanto dopo essere stato esposto per qualche minuto alla nube tossica generatasi in seguito all’incidente.
L’evoluzione del personaggio è perfettamente asimmetrica, perché, proprio lui che sin lì aveva vissuto l’ordinarietà della vita come se non dovesse morire, sviluppa un timore quasi reverenziale verso la morte, come se, senza smettere mai di arrovellarsi, non potesse più andare avanti, non potesse più vivere.
D’altronde è perfettamente comprensibile; da quando l’uomo ha preso coscienza di sé ha dovuto fare i conti con il dualismo inestricabile tra vita e morte, tanto che i contorni dell’esistere sono inesorabilmente definiti da quelli del morire.
La madre delle paure è un istinto naturale, comune a tutti gli esseri umani. Eppure può essere bilanciata se si razionalizza che la morte non appartiene alla vita in senso stretto, poiché ci accompagna come pensiero e mai come sostanza. Infatti l’uomo ha esperienza della morte solo attraverso l’Altro, e mai attraverso sé medesimo.
Non c’è sentenza più lucida di quella che ci è pervenuta dall’Antica Grecia, precisamente dal filosofo Epicuro:
«Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi».
Da una simile prospettiva sembra che la morte abbia a che fare più con le persone che rimangono in vita piuttosto che con quelle che se ne vanno. Il dolore, la sofferenza e i traumi non possono toccare chi non c’è più, ma possono invece incatenare le persone care ancora in vita.
Anche in Rumore Bianco traspare la paura della morte della persona amata, seppur rimanga molto più in superficie rispetto a quella della propria dipartita. Il Prof. Gladney e la moglie Babette si confessano reciprocamente di non poter vivere senza l’altro, allontanando così la paura da se stessi e proiettandola sulla persona amata.
Allora è forse più angosciante ricordarsi che le persone care devono morire.
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