Riccardo Muti
(foto: www.ondamusicale.it)

Riccardo Muti – Diario di un artista

Gennaio 2021

«La guerra: mio padre in divisa da ufficiale medico. Poi, nel 1946, una gita in carrozza a Castel del Monte. Partimmo da Molfetta, viaggiammo tutta la notte. All’alba il cocchiere Nicola aprì la tendina, e apparve quella corona di pietra. Rimasi stupefatto. Da allora sono ossessionato da Federico II, ho la casa piena di libri su di lui. Ho anche comprato un pezzetto di terra lì vicino, con qualche piccolo trullo, che chiamano “casedde”, dove a maggio tra gli ulivi fioriscono le orchidee selvatiche. Spero di passare in contemplazione del castello questi ultimi anni che mi restano».

I ricordi più belli sono quelli di quando ero bambino. Quando la vita era vera e non tutto si otteneva subito, come invece è oggi. Gli smartphone hanno rovinato il gusto e il piacere di ottenere le cose con fatica, pazienza e sacrificio.

Ricordo ancora quando quel giorno «papà mi regalò a Natale un violino. Piansi; volevo un fucile con il tappo. Dopo due mesi di vani tentativi di leggere i solfeggi, papà disse: “Il piccolo Riccardo non è portato per la musica”. Mamma concluse: “Proviamo ancora un mese”». 

D’un tratto imparai a solfeggiare. Ma l’incontro decisivo fu con Nino Rota, il grande compositore dei film di Fellini. Lui sì che mi fu di grande ispirazione: «Diedi con lui a Bari l’esame del quinto corso di pianoforte da privatista: mi diede 10 e lode in tutte le prove. Così decisi di iscrivermi al conservatorio. La mattina andavo al liceo, il pomeriggio prendevo la corriera per Bari».

Era impegnativo, molto. Ma l’adoravo. Mi piaceva tantissimo il guardare fuori dal finestrino e vedere le case correre via veloci, gli alberi sparire, li seguivo con gli occhi e subito il paesaggio cambiava, era veloce e ritmato. Sembrava una musica con uno spartito nuovo ogni istante.

E poi arrivavo al conservatorio dove ad accogliermi vi era il silenzio. Salivo le scale e già, subito, mi inebriavano le prime note che si diffondevano nell’aria e mi riempivano i polmoni e il cuore. 

Capivo già allora che mi piaceva e mi sentivo a mio agio in quel mondo. Un po’ alla volta non potevo più farne a meno e sin dal mattino anelavo il momento in cui prendevo la corriera.

Muti da bambino
(foto: www.felicedesanctis.it)

Febbraio 2021

Questo virus ha portato fuori il peggio delle persone, ha esasperato i problemi della società odierna. Teatri e sale da concerto sono off-limits e le sfide da fronteggiare sono incredibili. Fortunatamente in estate terrò qualche concerto all’Arena di Verona, all’aperto. Forse le restrizioni saranno meno proibitive: «Il Covid ha distrutto l’economia di molti Paesi, ma ha anche distrutto la certezza della spiritualità. Ha distrutto la fiducia nelle altre persone.»

L’unica salvezza credo sia il conforto nella musica. Ritengo che abbia il potere di rendere l’animo umano più sensibile in questo periodo di erosione sociale, perché essa «parla direttamente al cuore. Dovremmo tornare a credere nei sentimenti, in un mondo che sta diventando sempre più tecnocratico. La mancanza di comunicazione ci porterà a un mondo più selvaggio.»

Trovo speranza soprattutto nella prossima generazione di musicisti e compositori. Credo che l’Accademia dell’Opera che ho fondato nel 2015 si ispiri ancora ai saldi principi in cui sono nato e cresciuto io. Toscanini diceva che le braccia sono l’estensione della mente, ed è così che credo un Maestro d’Orchestra debba dirigere. Con mente, cuore e gesti ben precisi, dettati da anni di studio e prove continue. Le prove di sala, con il direttore al pianoforte che prepara la compagnia di canto in modo profondo, perché «non si tratta solo di rappresentare una storia che abbia grande aderenza con la realtà, ma di affondare le mani nel tessuto culturale in cui queste opere sono nate e a cui si riferiscono».

Riccardo Muti – Italian Opera Academy (foto: www.riccardomutioperacademy.com)

Marzo 2021

Le donne finalmente cominciano ad avere grande importanza nel settore della direzione d’orchestra. Posso affermare tranquillamente che «nei concorsi, molto spesso le donne sono migliori degli uomini: hanno più temperamento, maggior vitalità e passione.”

Per quanto mi riguarda, «sono il direttore che ha fatto più produzioni, nove dagli anni Settanta, insieme con Ronconi, che certo non era un reazionario, soprattutto a quell’epoca. Sono ancora sotto l’influenza di Strehler, che non soltanto conosceva la musica ed era in grado di leggere una partitura, ma perseguiva il Bello: non come fatto estetico, come necessità della vera arte. Le mie produzioni con Strehler […] mi hanno accompagnato e mi accompagneranno per tutta la vita.”

Credo di «non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato».

Ho trascorso il periodo del lockdown studiando la Missa Solemnis di Beethoven: «Ci lavoro da più di mezzo secolo, ma non ho mai osato dirigerla. Lo farò ad agosto a Salisburgo. È la Cappella Sistina della musica: la sola idea di accostarla mi ha sempre dato grande timore. Ci sono dettagli di importanza enorme. Al Miserere nobis Beethoven premette un “O”, che presuppone un interlocutore. Beethoven ha sentito che l’invocazione era rivolta a Qualcuno. Pare un dettaglio, ma apre un mondo. Significa che un Essere superiore esiste».

La pandemia ha decimato la mia ultima stagione come Direttore Musicale della Chicago Symphony Orchestra, allora ho deciso di continuare a fare la spola tra Italia e Stati Uniti fino all’estate del 2023 con la Chicago Symphony Orchestra, non vedo l’ora di ritornare lì e di stare insieme ai musicisti, di cui sono molto orgoglioso. Oltre alla gioia di fare musica insieme, ho con loro un legame particolare. 

Durante questo periodo, così difficile anche per la mancanza di comunicazione diretta con le persone, ci siamo inviati video di esecuzioni da camera o solistiche, in uno scambio che mi ha molto emozionato. Il mio rapporto con loro ha continuato a crescere e ho anche suonato un valzer di Shubert al pianoforte, che potete ascoltare seguendo questo link:

Schubert – Riccardo Muti – Kupelwieser Waltz – Piano

Febbraio 2022

Sono passati 18 mesi. Un anno e mezzo da quando non vedo i musicisti della CSO. Sono stati il mio Amore a Prima Vista e continuano a esserlo. Ci siamo resi omaggio con un applauso che sembrava infinito e sapeva di emozioni e di voglia di suonare. Vibrava di musica e note felici. «E poi abbiamo cominciato a fare musica come fossimo persone affamate che siedono intorno a un tavolo pieno di prelibatezze dopo che sono rimaste a digiuno per giorni. È stato straordinario; e sono stato felice di prorogare il contratto».

Abbiamo trovato una sintonia e armonia uniche, ho aiutato l’orchestra anche a sviluppare la qualità del suono cantato attraverso il repertorio italiano con le sue opere illustri: «Cantare significa esprimere intensamente ogni nota, ogni frase. Come dico all’orchestra, si deve cantare anche durante i silenzi. Questo ha dato all’orchestra una maggiore flessibilità, questo aspetto “italiano” del suono che forse un po’ mancava».

Marzo 2022

Ritengo che l’aumento della migrazione di questi ultimi anni sia positivo. Vedo un futuro luminoso per l’espressione contemporanea, sempre attingendo ai grandi Maestri e sempre con impegno e perseveranza, perché unendo culture diverse si possono creare sinfonie lavorative uniche: «Da questa miscela, nascerà una nuova musica, più diversificata e comprensibile al mondo intero».

Credo di lasciare questa consapevolezza, a me e al mondo intero. 

Mi sto avviando verso la fine del mio percorso. Ho espresso tutto ciò che sono e tutto ciò che ho imparato e proseguo gli ultimi anni senza accettare altri incarichi ma terminando il mio mandato a Chicago. 

E naturalmente continuo a lavorare con l’orchestra che, da ormai cinquant’anni, è mia compagna di vita, la Filarmonica di Vienna. Anche quest’anno la dirigerò a Salisburgo. E naturalmente la mia Orchestra giovanile sarà con me verso il tramonto della mia vita, senza applausi, in silenzio. Permettetemi a questo proposito un riferimento a Verdi: «Questo sarà il futuro, se il destino vuole».

Le Nozze di Figaro, il Don Giovanni, il Falstaff, mi hanno accompagnato e mi accompagneranno per tutta la vita e mi hanno insegnato molto. Saranno sempre con me, come dice Dante nel XIV canto del Paradiso, che esprime la miglior definizione di Musica:

«E come giga e arpa, in tempra tesa 
di molte corde, fa dolce tintinno 
a tal da cui la nota non è intesa, 
così da’ lumi che lì m’apparinno 
s’accogliea per la croce una melode 
che mi rapiva, sanza intender l’inno». 

La musica è rapimento, non comprensione. Critici musicali, tutti a casa! Non c’è niente da comprendere. Come diceva Mozart: «La musica più profonda è quella che è tra le note o dietro le note».  

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