Misericordia di Emma Dante

Misericordia di Emma Dante

Il 17 novembre scorso al Postmodernissimo di Perugia, Emma Dante, in collegamento meet causa covid, ha introdotto il proprio film Misericordia

Quando arrivo trafelata in sala dopo i vari incastri della giornata, vedo la regista che indossa la stessa camicia che avrei voluto mettere io, ma che ho dovuto riporre nell’armadio perché troppo stropicciata: nel mio mondo magico questo mi sembra un chiaro segno di connessione! Una camicia tempestata di cuori, un po’ storti, sottosopra, alcuni liberi, altri intrecciati, forse in relazione, forse incastrati, altri ancora con uno strascico. Già, per me, una soglia di preparazione all’essenza del lungometraggio.

Misericordia di Emma Dante

Una fotografia impeccabile cattura il pubblico fin dalle prime scene, in cui la brutalità di un femminicidio lo colpisce dritto in pancia. Arturo, una sorta di divinità ctonia (il neonato viene infatti ritrovato tra le rocce), e il suo essere speciale sono il frutto di questa violenza.

La natura, acqua e terra, si presenta come protagonista: non è impassibile, non abbiamo le betulle indifferenti del principe Andrej di tolstojana memoria che continuano a ondeggiare qualsiasi cosa accada. La roccia della montagna si sgretola a ogni picco di disumanità. E l’acqua sale, impantana lo squallore bestiale che non possiamo evitare di sentirci addosso, appiccicato. 

Il disagio esibito con crudezza, senza mai scadere nella pornografia, è carnale, difficile da metabolizzare sul momento, sedimenta per ore dalla fine dei titoli di coda.

La comunità di prostitute accoglie Arturo, due mamme, Betta e Nuccia, se ne fanno carico e ne arriva una terza, la giovane Anna: l’incarnazione della famiglia queer tanto sentita da Michela Murgia, che avrebbe sicuramente amato questo film, suggerisce che l’unica via d’uscita è quella della solidarietà, dei legami scelti e della condivisione:

«Non è vero che il mondo è brutto, dipende da che mondo ti fai!» 

Il degrado sembra non lasciare spazio alla consapevolezza della maternità, schiacciata dai meccanismi ripetitivi del quotidiano. La soluzione fatica a prendere forma, ma c’è: sta nella cura. L’amore si riprende tutto il suo spazio nel momento prossimo alla partenza di Arturo: la valigia, la tenerezza dell’accudimento ripercorso nei gesti della prima infanzia, concretizzata negli oggetti conservati, danno la possibilità a queste madri di riconoscersi come tali, capaci di amare e degne di amore.

Una galleria grottesca di personaggi maschili, sopra tutti“Polifemo, segna una distanza atavica tra i due sessi. I movimenti di Arturo creano però una danza, un cerchio magico.

Un secondo uomo degno di essere chiamato tale è coinvolto in una delle mie scene preferite (sono di parte essendo volontaria LaAV), mentre è intento a praticare la lettura ad alta voce per Arturo e un bambino, su un divano in mezzo alla spiaggia: ecco che la potenza delle storie, sfruttando la dimensione dell’immaginazione, crea altri mondi possibili oltre il degrado, seconde possibilità, bellezza al di sopra del lercio.

Altra scena poetica che permette agli spettatori di “respirare” è quella di Arturo e Anna che giocano, si cercano e sorridono tra i colori dei fili intrecciati, che fanno da contraltare al grigiore dei rifiuti. Attimi di sinergia che ripagano la drammaticità del quadro della solitudine di Anna davanti al mare, tra la bellezza della natura, con quel vestito celeste da principessa, sgualcito, segno degli abusi subiti.

Misericordia di Emma Dante

«Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»

(Calvino)

i bambini che giocano insieme, liberi; le pecore che alcune inquadrature, meravigliose, sottolineano come personaggi a tutti gli effetti, compagne di Arturo, silenziose come lui, come lui indifese (non a caso nei titoli di coda, tra i nomi degli attori, compare anche quello di una pecora).

Misericordia di Emma Dante

La colonna sonora finale con Avrai di Baglioni – questo titolo al futuro suona già come una promessa – e la scritta MISERICORDIA sul mezzo che porta Arturo verso il mondo squarciano un’apertura, l’emozione impazza e finalmente può sciogliersi la commozione, prima impietrita dal dolore: chiudo scomodando Dante con il suo celeberrimo verso: 

Io non piangea sì dentro impetrai.

Film da vedere, assolutamente!


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