Ottobre 2019
«L’arte è molte cose. Tutte contraddittorie tra loro, eppure tutte vere. Coinvolgente, provocatoria, esclusiva, documentaria, partecipativa, incomprensibile o didascalica».
Maurizio Cattelan
Questa è una mia dichiarazione al Sole24Ore pubblicata il 15 aprile del 2018. Ritengo che il lavoro di un artista sia quanto di più personale ci possa essere e sia l’espressione massima di un pensiero, un’emozione e una sensazione.
L’artista deve affrontare una grande sfida. quella di far sì che la sua opera sopravviva nel tempo. Tutti ricordiamo Giotto, Michelangelo, gli artisti ateniesi, e andando ancor più indietro nel tempo mi vengono in mente le incisioni rupestri. Ecco quello che penso: «In un mondo così sovraffollato di immagini veloci e facili da consumare, il lavoro degli artisti riguarda sempre più il potere delle immagini che producono: se funzionano, possono durare secoli».
Fin dai miei esordi ho sempre cercato di comunicare e credo di esserci riuscito. E mi piace provocare. Alcuni critici mi amano e osannano, altri mi odiano e mi giudicano, ma questa è la mia vita, e io esprimo me stesso al meglio attraverso le mie opere.
Riesco a suscitare interesse e curiosità, lo noto specialmente in chi non è specialista: fa sempre effetto sapere che in qualche casa qualcuno ha scelto uno dei miei lampadari; è come se una piccola parte di me fosse lì, in quelle abitazioni.
È da questo pensiero che sto creando una nuova opera, simpatica e irriverente: con la mia faccia che sorride a chiunque illumino: la chiamerò Yes! e la farò in due versioni: una italiana e una americana, in onore a entrambi miei paesi. Il mio genio illuminerà chiunque mi accenderà! La trovo davvero un’idea divertente, unica, la proporrò come nuovo inizio del prossimo anno.
Ed è così che riesco a essere me stesso e a sentirmi un supereroe, anche attraverso un paralume, dando un senso alla permanenza: «Ciò che conta nell’arte, a differenza della comunicazione, è la possibilità di permanenza, il poter impressionare la mente di qualcun altro: in qualche modo è come possederla. Credo che ogni artista sia stato ossessionato da questo pensiero. Più di tutto il resto, credo che l’arte abbia il compito di essere rilevante per più tempo possibile. Dal punto di vista dei media, invece, trovo affascinante la possibilità di rendere le cose virali: mi sembra la cosa che si avvicina di più all’avere un superpotere».
Credo che artista e persona siano la stessa cosa. Come potrei essere Io persona diverso dall’Io artista? È proprio quando creo una mia opera che mi esprimo al meglio, attraverso una situazione, un pensiero o emozione: «Penso che sia un discorso valido solo per gli attori: interpretano così a lungo ruoli diversi per lavoro che ho l’impressione che quando scendono dal palco si faccia fatica a riconoscerli come individualità. Gli artisti non hanno questo problema, la maggior parte delle volte sono esattamente così come si presentano. Per quanto mi riguarda, non credo ci sia nessuna separazione tra tutti i miei io, sono tante facce della stessa medaglia».
Dicembre 2019
Nel concepire opere a partire da immagini che attingono a momenti, eventi storici, figure o simboli della società contemporanea, che evoco a volte anche nei suoi aspetti più disturbanti o traumatici, voglio invitare lo spettatore a cambiare punto di vista e a riconoscere la complessità e l’ambiguità del reale.
Il problema della reinvenzione di sé, del proprio pensiero e della propria opera costituisce un fatto esistenziale e culturale, intellettuale e artistico. Da quando iniziai, a Forlì, negli anni Ottanta, sono accadute molte cose, tante esperienze e tanti pensieri sono cambiati, altri rimasti simili.
Ho continuato a sottolineare i paradossi della società e a riflettere su scenari politici e culturali con profondità e cercando tanti punti di vista.
Mi piace creare una discussione e una partecipazione collettiva nei riguardi delle mie opere, mi piace osservare e sentire gli effetti che fanno, significa che sto realizzando quello che sento e che mi sono proposto. Lo faccio utilizzando immagini iconiche e con un linguaggio visivo provocante. Spero sempre di riuscirci e di fare la scelta giusta, ogni volta. Anche se ogni tanto non sono capito appieno ma vengo valutato come giullare.
«La mia vita è costellata di scelte. Ovviamente ogni vita umana comporta delle scelte, ma a partire da quando sono andato via di casa ho cercato di avere il controllo della vita attraverso scelte anche radicali. Parlando di passaggi, credo che ogni lavoro possa essere considerato l’immagine di un problema che ho capito e interiorizzato: tra i 129 lavori esposti al Guggenheim ce ne sono stati moltissimi che vorrei finissero in oblio, e che non ritengo più utili per nessuno, di per sé. Li considero momenti di passaggio necessari per arrivare a quei dieci, massimo quindici lavori che salverei nella maggior parte dei giorni. Mi è stato chiaro dopo la mostra a Le Monnaie: abbiamo fatto una scelta molto ristretta di lavori veramente significativi. Quelli in particolare, una volta messi fianco a fianco, si aprono a una varietà di significati diversi e nuovi. La mostra a Parigi è stata molto utile per tirare una linea tra me e i miei lavori, oltre che una grande occasione di mostrarli in silenzio, senza che fossero messi in ombra dalla figura del giullare che mi è stata cucita addosso».
Credo che quanto Silvia Neri abbia scritto sulla mostra La Monnaie nella rivista “Art Tribune” rispecchi in gran parte ciò che volevo realizzare:
«Definita come un “post requiem show”, la mostra inizia già nella scalinata del palazzo con un quadro visivo d’impatto composto dall’installazione La Donna (omaggio alla fotografa Francesca Woodman) e Novecento. Il pubblico assiste a una studiata mise en place delle opere: nell’infilata di saloni si susseguono le opere dai soggetti religiosi, politici e sociali. Allestimento mostra come ogni opera abbia lo spazio che (contenutisticamente) si merita: La Nona Ora (1999) è al centro della grande sala mentre Him (2001) è isolato un piccolo angolo in fondo al corridoio, Gérard (1999) è sito “dove nessuno lo vede” e All (2007) si prende una stanza immersa nel ritiro e nel silenzio».
Febbraio 2020
Ogni tanto mi piace prendermi del tempo e lasciarmi ispirare dalle correnti artistiche e goderne appieno. L’arte va vissuta e assaporata. Spaziare da opere antiche a quelle più attuali, assaporare quanto chi le ha realizzate voleva esprimere e capire cosa sento io nell’osservarle.
«Ammiro il futurismo per l’irruenza e la combattività: alcuni sono addirittura morti in guerra per il proprio ideale. Per quanto, nella loro follia, non gli si può imputare una scarsa integrità. Concettualmente il dadaismo è il padre di buona parte dell’arte contemporanea, ed è impossibile non omaggiarlo per l’approccio irrazionale e la libertà di associazione. Il silenzio di Bruce Nauman, la severità di Joseph Beuys, l’affettazione di Raffaello, l’eccentricità di Bernini, l’alchimia di De Dominicis, l’anima dannata di Caravaggio... Tutta la storia dell’arte può insegnare qualcosa, non importa se in senso positivo o negativo. Ma più di tutti credo che ci sia da imparare da quelli che hanno rischiato tutto per la loro idea, come Gesù, o Giordano Bruno».
E non tralascio mai di pensare al rapporto con la committenza. Ritengo che un artista si formi anche, e ancora di più, nel rapporto e nello scambio reciproco con essa, come avveniva durante il Rinascimento. Nella storia dell’arte il modello non cambia nemmeno oggi: «La committenza e il mercato continuano a esistere, e per fortuna! Non credo che i soldi siano il punto centrale: il vero privilegio degli artisti è di poter gestire il proprio tempo. Anche quando arriva il successo – che solo in alcuni casi corrisponde ai soldi! – questo è l’unico vero lusso, perché il tempo è l’unica cosa che non si può comprare. Ogni artista dovrebbe puntare a gestire al meglio il proprio tempo per ottenere un risultato soddisfacente dal proprio lavoro. È una questione di scelte, non di soldi».
Sono nato in una famiglia normale, non benestante né particolarmente istruita e ritengo che tutte le scelte che ho fatto siano valide perché io credo «nel libero arbitrio molto più che nel destino: in questo senso la religione cattolica non ha avuto nessuna influenza su di me, mentre l’eresia luterana è molto più nelle mie corde: sono convinto che il destino non sia altro che la somma delle nostre scelte».
Ho costante tensione verso l’infinito: «Credo nel potere della religione: per secoli è stato l’unico strumento di sopportazione della sofferenza. Oggi l’abbiamo sostituita con tanti metodi, nessuno dei quali credo sia altrettanto efficace. La Chiesa è riuscita a raggiungere alla perfezione un obiettivo che tutti gli artisti vorrebbero raggiungere: essere iconici e memorabili. Vorrei che qualcuno potesse dire lo stesso del mio lavoro».
Aprile 2020
Sto cominciando ad apprezzare sempre di più il vero lusso. Ho tempo. Tempo per muovermi tra le mie due case, girare per le città e capisco che non ho bisogno del superfluo. Non amo una abitazione più dell’altra: «Amo entrambe le città, mentre le case, in generale, sono sopravvalutate. Presto molta più attenzione a ciò che è importante avere intorno al mio appartamento, più che a quello che c’è dentro. In un mondo ideale, la mia casa sarebbe stata larga come lo spazio tra due montagne, con solo l’eco intorno a me. Ho sempre preferito la stanza vuota e la mente piena. Il vero lusso è non aver bisogno di oggetti».
E sto capendo che, per certi versi, non ha importanza il luogo in cui mi trovo, se sono a Milano, a Mumbai oppure a New York; per altri versi invece è essenziale, dipende dalle esigenze e dai punti di vista.
Quando mi trovo nella mia casa di New York, anche se non esco all’aperto, sento l’energia della città, è come se vibrasse: «A soli due isolati di distanza trovi centocinquanta gallerie d’arte. Centocinquanta giovani teste che pensano, ed è sufficiente una passeggiata per incontrarle. A Milano, il complesso di Porta Nuova ha concentrato la parte economica in un’area, ne ha cambiato i connotati, come un lifting, o un incontro di pugilato, a seconda dei punti di vista. A volte basta una rinfrescata al panorama per percepire un miglioramento».Milano, invece, mi ha regalato qualcosa in più. Nel 2010, con il mio caro amico e fotografo Pierpaolo Ferrari, ho fondato “ToiletPaiper”, la nostra rivista in continua trasformazione che ora vorrei potesse riuscire a vivere di vita propria: «TP è in continua trasformazione […]. La collaborazione con Pierpaolo ha reso possibile affrontare una cosa, la fotografia, che non avrei saputo fare da solo. E sicuramente abbiamo colto il momento, partecipato a creare un tipo di immagine che oggi è diventata mainstream. È terribilmente difficile, da questo punto di vista, reinventarsi, soprattutto perché non è la mia unica attività. Ho imparato moltissimo, ma forse per me è venuto il momento di tirare l’acqua».
Dicembre 2020
Sono sempre in fermento, il mio essere vuole sempre esprimersi e dare emozioni in ciò che trasmetto. Per il prossimo anno sto già creando e realizzando qualcosa di grandioso. Ho la possibilità di creare una personale al Pirelli Hangar Bicocca di Milano.
Ho un obiettivo, un grande obiettivo: raccontare i miei primi quasi trent’anni di lavoro. Vorrei creare una sorta di timeline, di quinte teatrali e atti ben distinti gli uni dagli altri in cui affronto i vari temi che hanno contraddistinto il mio cammino personale di vita e che sono comuni a tutti, temi e concetti esistenziali come la memoria, la fragilità della vita, la memoria e il senso di perdita individuale e comunitario.
Il mio obiettivo è quello di offrire una visione della storia collettiva e personale attraverso una rappresentazione simbolica del ciclo della vita. Lo realizzerò cercando di coniugare nuove opere con la riconfigurazione di un lavoro storico: «L’inedito progetto site-specific mette in discussione il sistema di valori attuale, tra riferimenti simbolici che appartengono all’immaginario collettivo».
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