Matteo Bussola - Un buon posto in cui fermarsi

Matteo Bussola – Un buon posto in cui fermarsi

«Che cosa fa di un uomo un uomo?»

Matteo Bussola, dopo il successo de Il rosmarino non capisce l’inverno, atto ad esplorare la complessità dell’universo femminile al di là dei facili stereotipi, ritorna con una galleria di personaggi tutti al maschile: «Una piccola mappa di alcuni modi in cui si può essere uomini.»

L’autore indaga i meandri della mascolinità, sfaldando, storia dopo storia, i luoghi comuni e le prerogative di ruoli cristallizzati nel machismo.

«Da qualche parte esisterà un proverbio pure su questo, su chi sfugge ai piani, su chi si realizza in sentimenti diversi. Per chi la notte abbraccia gli alberi del bosco.»

Stessa struttura dell’opera precedente, con i capitoli titolati con nomi propri di persona. Incontriamo quindi, tra gli altri, Stefano, Arnaldo, Solomon e Pietro. Come sottotitoli ci sono frasi lapidarie estrapolate dai testi stessi, quali chiavi di accesso alla narrazione. 

I racconti sono tessere di un mosaico, con rimandi intertestuali a suggerire che una storia non dovrebbe mai essere chiusa in se stessa e che diversi punti di vista portano altri pezzetti di senso. Il risultato è un romanzo frazionato e polifonico; come valore aggiunto, tra le pagine, ci si riallaccia anche alle figure femminili del “Rosmarino”, vedi il racconto di Antonio che, dopo il tradimento della moglie e l’improvvisa morte, guarda da lontano, con placido distacco, l’intreccio delle donne della propria vita, consorte, amante e rispettive figlie. 

Edoardo invece, l’uomo rinoceronte che aveva fatto del confronto fisico il suo modo di stabilire un limite, si ritrova a dover maneggiare con cura un bambino di “cristallo” e Nico, il figlio, dal canto suo ci dimostra che, nonostante nessuno ce lo dica mai, anche cadere può essere bello:

«Sarebbe stato possibile che un rinoceronte e un cavalluccio marino giocassero insieme, sarebbe stato possibile vederli poltrire in acqua, uno sull’altro. Anzi, uno intorno all’altro. Perché lui, il rinoceronte, non doveva essere necessariamente la minaccia, poteva essere la difesa.»
Matteo Bussola - Un buon posto in cui fermarsi

Riccardo, imprenditore di successo all’improvviso in caduta libera, sta per perdere la casa all’asta e, tra tutti gli averi che passa in rassegna nella sua abitazione prima di andarsene, si sofferma sul portasapone, correlativo oggettivo di una crisi esistenziale condensata in quell’oggetto scheggiato, emblema della sua vita che va in frantumi:

«Percorro col dito il punto in cui il portasapone è rotto, sfioro i bordi frastagliati della piccola frattura, tocco la parte dove è saltata la scheggia. Per un attimo mi chiedo che fine avrà fatto il pezzo mancante. Se sarà da anni sul pavimento, nascosto in un angolo, se è caduto nel minimo spazio che c’è tra il lavandino e il muro. Se è stato buttato per sbaglio. Mi dico che non importa. Che conta quel che rimane, non ciò che si è perso. Che si può continuare a essere quel che si è, nonostante le cicatrici. E che un uomo, forse, alla fine, sta soprattutto in ciò che sceglie di salvare mentre il resto cade giù.» 

Già le epigrafi, che citano Hemingway e la giovane cantautrice Madame – Come voglio l’amore è un testo bellissimo – suonano come un inno all’accoglienza delle ferite e delle contraddizioni con cui inevitabilmente, e per fortuna, dobbiamo fare i conti. 

La domanda aperta «Che cosa fa di un uomo un uomo?», con cui si apre l’opera, ritorna alla fine a configurare una struttura circolare, a cerchi concentrici, che non si chiudono ma si propagano fino a coinvolgerci tutti, uno a uno, uomini e donne.


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