Il legame fra cinema e letteratura, seppur solido come continuità, è piuttosto fragile dal punto di vista dell’adattabilità narrativa, tanto che servono attenzione, competenza e sensibilità artistica per trasporre sul grande schermo la storia che si vuol raccontare. Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, con Le otto montagne, uscito nelle sale italiane sul finire del 2022, sono riusciti a salvaguardare questo fragile legame.
Invero, il compito più arduo, e al tempo stesso il più virtuoso, della settima arte è proprio quello di tradurre l’immaginario da individuale a collettivo, aiutando le storie a uscire dall’universo letterario, purtroppo sempre meno frequentato al giorno d’oggi. Da questa prospettiva, è lo spettatore che dovrà poi farsi carico di rintracciare la sorgente originaria dalla quale dissetarsi definitivamente.
Le otto montagne, che ha ottenuto il Premio della giuria al Festival di Cannes, dove era in concorso anche per la Palma d’oro, è tratta dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, vincitore a sua volta del Premio Strega nel 2017.
Le otto montagne: una storia d’amicizia
Tra i temi oggetto di indagine, dal rapporto padre-figlio alla solitudine, dall’asimmetria ritmica (rumore e silenzio) e cromatica (grigio e verde) fra città e montagna alla formazione del protagonista, predomina nettamente la storia di amicizia fra Bruno e Pietro, interpretati rispettivamente da un ottimo Alessandro Borghi e da un Luca Marinelli un po’ sottotono.
Il rapporto fra i due si interrompe da piccoli, complici le vicissitudini di entrambi, e si riconsoliderà soltanto nella fase adulta. Eppure la presenza del tema si sente anche nella sua assenza, come se, sottacendolo durante la parte centrale del film, fossero i pensieri del protagonista ad aprirsi allo spettatore.
C’è un preciso luogo in cui l’amicizia con Bruno si ricompatta in modo indissolubile, ovvero il rudere in alta quota lasciato in eredità a Pietro dal padre dopo la sua morte, che durante l’estate seguente i due amici trasformano in una piccola baita.
Se il luogo dell’amicizia diventa quella casetta di legno, allora il tempo dell’amicizia è certamente l’estate, così come lo era stato quando erano piccoli. Anno dopo anno, i tre mesi estivi assumono la forma della rinascita, scandiscono il tempo e nutrono le solitudini di entrambi, di modo che l’aria fresca della montagna ripulisca l’incertezza
dell’esistenza.
Un posto nel mondo
Entrambi sono alla ricerca del proprio posto nel mondo, e spesso non è sufficiente una vita per scoprirlo. Il modo in cui si decide di perdersi nell’esplorazione interiore è ovviamente del tutto soggettivo, così come lo sono i tempi, le misure, financo l’intensità.
La ripresa della vecchia attività dello zio, una compagna e una figlia sembrano – e forse sono, in quel momento – il posto nel mondo di Bruno. La sua amata montagna rassomiglia alla cornice di un’esistenza serena.
Pietro stesso ne è convinto, tanto che in uno dei dialoghi immaginari con il padre defunto lui stesso conforta il genitore del fatto che almeno uno dei suoi due figli abbia trovato il senso della propria vita. L’altro continua invece a peregrinare, trasformando l’esplorazione interiore in esplorazione esteriore, di mondi così lontani, “personificati” dalle montagne che affronta.
In realtà, per Bruno, erano gli affetti e gli obiettivi a fare da ornamento a ciò che più di tutto contava per lui. Il suo posto nel mondo non aveva a che fare con la sfera personale o con quella professionale: era esattamente un posto nel mondo. La montagna che lo aveva visto crescere era il contatto più profondo che aveva con l’universo, e non se ne sarebbe privato per nessun motivo.
Le otto montagne
Splendida, in tal senso, la metafora gnoseologica delle otto montagne e della montagna più alta di tutte che sta al centro. È la prospettiva a sciogliere il dubbio se abbia conosciuto più l’uomo che ha viaggiato attraverso le otto montagne oppure quello che è rimasto tutta la vita sulla montagna più alta.
Il punto è che non c’è una risposta univoca, perché la prospettiva ha una componente oggettiva – l’altezza – e una soggettiva – il modo con cui si sceglie di gettare il proprio sguardo sul mondo. Quel che è certo, tuttavia, è che su certe montagne non si può più far ritorno:
«Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico». (Pietro)
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