Foto di Jago, su sfondo nero

Jago, classicità e social nella scultura contemporanea

Si è chiusa a fine agosto a Palazzo Bonaparte di Roma la prima grande mostra di Jago: The Exhibition. Chi è questo giovane artista soprannominato dalla critica “the social artist” e così amato dal pubblico?

Jago è lo pseudonimo di Jacopo Cardillo, nato a Frosinone il 18 aprile del 1987 dove ha frequentato il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti che ha abbandonato dopo i primi anni viaggiando per il mondo fino alla sua prima apparizione sul grande palcoscenico della Biennale di Venezia nel 2011 con il busto in marmo di Benedetto XVI, poi chiamato Habemus Hominem.

La sua prima mostra nel 2016 a Roma lo ha consacrato tra gli artisti più quotati del contemporaneo. Ha tenuto lezioni anche alla New York Academy of Art e continuato a esporre nelle piazze più prestigiose del mondo con un plauso sempre crescente.

Fonte immagine: facebook.com/jagosound

Artista e soprattutto scultore classico per niente da interpretare. «Ognuno viva l’arte liberamente in base alle proprie emozioni» questa la frase riportata nel suo sito web.

Jago usa il marmo, lo scolpisce creando forme care all’arte classica e moderna, non si impegola in dimensioni astratte o interpretabili ma è ancorato alla realtà con una innata capacità di plasmare la materia grezza più coriacea che a volte contamina con inserzioni e strutture di pietra, legno e metallo.

Anche i titoli delle sue opere si muovono tra passato e presente con l’uso frequente di titoli in latino che si alternano a quelli in inglese.

La scultura è un lavoro paziente, silenzioso e solitario, un rapporto a due, tra artista e materia, che può anche causare errori e ripensamenti, ma serve a migliorarsi e il risultato deve essere sempre perfetto.

Le sue sculture sono attente ai particolari, meticolosi e precisi come le rughe dei volti o i panneggi morbidi e quasi sempre è l’anatomia umana a essere protagonista: volti, mani, corpi, impronte.

Foto scultura Habemus Hominem di JAGO
Fonte immagine: jago.art/it/opere

Significati a volte ironici, ma sempre immediati, forti, quasi pugni nello stomaco dello spettatore quando legge e interpreta il malessere della nostra società, come nel Muscolo Minerale, un cuore scavato nella pietra, o il famoso Donald esposto a New York nel 2018 in cui un tenero bambino ha il ciuffo di Donald Trump e segna anche il momento in cui Jago si trasferisce a Manhattan per qualche anno fino al ritorno a Napoli dove ha stabilito il suo studio.

Piazza del Plebiscito a Napoli accoglie la scultura Look down, un appello a guardare giù, in basso, a chi vive di stenti e fatica a crescere, e poi il Flagella Paratus Sum (Sono pronto al flagello) del 2022 che presenta un profugo addormentato in mezzo alla strada esposto prima al centro dello Stadio Olimpico e poi sul selciato del ponte di Castel Sant’Angelo tra turisti e passanti che per forza devono prendere coscienza e conoscenza del giovane sfinito riverso a terra.

Aulico e delicato quando affronta il tema sacro e cita le grandi sculture del passato con il rischio di innescare pesanti confronti con i capolavori assoluti dell’arte come è avvenuto nella recente Pietà (del 2020) in cui rielabora la struggente sofferenza scolpita da Michelangelo, o nel Figlio Velato presso la Chiesa di San Severo Fuori le Mura di Napoli, dove è custodito il settecentesco Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, che ritrae un bambino coperto da un sottile velo, metafora di un rione difficile in cui la vitalità della giovinezza è tenuta imbrigliata da una società problematica.

Alle sculture di Jago è toccato andare anche nello spazio. Nel 2019, infatti, nella missione Beyond dell’Esa, l’ente spaziale europeo, guidata da Luca Palmisano, è stata portata in orbita la delicata scultura di un feto: The First Baby.

Perché la critica lo addita come “the social artist”? Perché Jago è figlio del suo tempo e sa fare, molto bene, comunicazione con i social. Non è nato con lo smartphone in mano, è di una generazione precedente, di quella di tanti giovani sbucati dal nulla e cresciuti con tanta forza comunicativa. Jago ha però deciso di adottare il mezzo artistico come prassi per diffondere il suo lavoro e colloquiare con un pubblico spesso giovanissimo.

Dai video che documentano il processo creativo e di lavorazione delle sue opere, alle dettagliatissime riprese 3D delle sue sculture, Jago riesce non solo a raccontare il backstage dell’opera, dell’idea che diventa forma, ma anche a creare istallazioni virtuali che supportano il prodotto finito, lo raccontano, lo spiegano, lo fanno conoscere ancora prima di essere esposto facendo crescere l’attesa dell’evento pubblico.

Non è il primo artista a usare i media, ce ne sono molti altri ed è azione inevitabile per la nostra contemporaneità e, forse, anche i grandi scultori del passato lo avrebbero fatto se avessero avuto questi strumenti.

La critica non ha ancora sdoganato del tutto Jago, si è divisa a metà tra chi lo acclama come grande e sensibile talento e chi lo snobba perché non ha originalità ed è un mero fenomeno social e un esperto di marketing, ma a lui interessa cosa pensa il pubblico e continua nella sua espressione artistica senza mai restare in silenzio.


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