Un personaggio in cerca d’attore
Sì, se state pensando che il titolo sia una semicitazione all’opera teatrale di Pirandello Sei personaggi in cerca di autore (1921), beh, avete ragione. D’altra parte non potrebbe essere diversamente, considerando che Il talento di Mr. C (2022) è un film diretto da Tom Gormican, nel quale Nicolas Cage interpreta se stesso.
La sceneggiatura funziona bene e ha il merito di esaltare momenti di comicità costruiti con intelligenza, alcuni dei quali sono già famosissimi meme che girano sui social media. Per citare il più utilizzato come base, la scena dove Nick e Javi (Pedro Pascal) stanno viaggiando in macchina sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, chiaro omaggio al cult Paura e delirio a Las Vegas (1998).
Tra gli elementi che accomunano questi lavori così lontani nel tempo, nel genere e nella forma di rappresentazione, ce ne sono due particolarmente degni di nota e che meritano di essere approfonditi. Si tratta delle caratteristiche della meta-rappresentazione e della nudità dello spazio artistico.
Meta-rappresentazione: dialogare con se stessi
Esattamente come accade nell’opera di Pirandello, Il talento di Mr. C sfonda la quarta parete, interagendo a più riprese con lo spettatore. Quello del dialogo fuori dalla rappresentazione è chiaramente un escamotage narrativo, che si può tuttavia configurare, almeno in certi casi, come metafora in grado di esplicitare il dialogo che in realtà l’opera intrattiene con se stessa.
È dunque opportuno introdurre il concetto di meta-rappresentazione, nella misura in cui l’opera non solo parla agli spettatori e interagisce con loro ma, nel farlo, parla di se stessa e soprattutto parla a se stessa. Ha una vita propria, una coscienza, persino la libertà di deviare dal percorso narrativo – o almeno, questa è la percezione immediata.
A parlare con se stesso è pure lo stesso Nicolas Cage, in un gioco dialettico in cui costantemente si incontrano e si scontrano la persona e il personaggio, annullando la dicotomica metafisica fra identità e alterità. Si finisce per essere storditi, tanto gli spettatori quanto il protagonista stesso, dall’idiosincrasia della possibilità che sia l’attore che interpreta il personaggio di se stesso oppure che sia il personaggio a interpretare l’attore che si auto-interpreta.
La nudità dello spazio artistico
Svelato l’incanto teatrale, così come quello cinematografico, alzato il sipario che separava il mondo della rappresentazione dalla realtà, ci si trova immersi nella nudità dello spazio artistico. Seppur con differenti registri, espedienti, finanche con distinte finalità, entrambe le opere soffiano via la magia che scinde la persona dal personaggio e che quindi crea ipso facto lo stesso spazio artistico che ora non esiste più.
Inoltre, c’è una profondissima e inestricabile co-implicazione fra la meta-rappresentazione e la nudità dello spazio artistico, perché è proprio nel momento in cui l’opera interloquisce con lo spettatore che crolla ogni parete. In sala o a teatro, oppure anche leggendo un libro, lo spettatore finisce per diventare lo spettacolo, il film, la storia.
L’opera di Pirandello vuole sorprendere, contravvenire alle regole convenzionali, magari pure schernirle, giocando a creare arte sopra l’arte. Il talento di Mr. C si prende ancor meno sul serio, neppure aspirando a essere arte, ma semplicemente dando una forma artistica all’autoironia.
Il risultato è una pellicola sui generis, seppur classificabile come commedia, che fa tesoro del più grande insegnamento pirandelliano: siamo tutti maschere, e non potrebbe essere altrimenti.
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