L’ultimo film di Nanni Moretti
Il sol dell’avvenire, a lungo atteso e di recente arrivato nelle sale, è l’ultimo film di Nanni Moretti, tra i più celebri registi italiani, che potrebbe valergli la sua seconda Palma d’Oro (la prima la conquistò nel 2001 con La stanza del figlio), in quanto il film è in concorso al Festival di Cannes insieme ad altre due pellicole italiane, una di Marco Bellocchio e una di Alice Rohrwacher.
Il taglio morettiano si nota subito a partire da una serie di tecniche che il regista utilizza con una nitida consapevolezza: prima fra tutte, ad esempio, l’impiego di un meccanismo meta-cinematografico, in quanto la storia narrata è essa stessa la rappresentazione di come viene realizzata una pellicola. Il protagonista infatti è un regista, si chiama Giovanni – impossibile non cogliere immediatamente l’assonanza con Nanni – ed è dunque l’alterego dello stesso Moretti. Il suo obiettivo è realizzare una produzione che insceni i tragici eventi del 1956, quando uno stuolo di carri armati sovietici irruppe in Ungheria radendola al suolo.
In questa impresa non da poco Giovanni sarà assistito dalla moglie Paola e dalla figlia Emma, oltre che da una troupe di validi attori pronti a interpretare personaggi molto particolari, tra cui spiccano un giornalista dell’Unità nonché segretario di quartiere del PCI e una sarta che proverà a modificare in parte la sceneggiatura stesa da Giovanni per avvicinare il film a una love story strappalacrime.
L’idea di Giovanni è invece quella di girare un film in cui possano risuonare chiaramente i riferimenti socio-politici (l’invasione dell’Ungheria, ma anche i rapporti tra il Partito Comunista Italiano guidato da Togliatti e l’Unione Sovietica da cui fortemente dipendeva).
L’atmosfera in cui l’operazione dovrebbe essere realizzata è tuttavia profondamente mutata rispetto agli anni in cui iniziò a lavorare in questo campo così complesso, e adesso pare che a un regista del suo calibro non resti che negoziare con Netflix o con sceneggiatori coreani, affinché il suo film non vada perso.


Insomma la storia diviene il pretesto per riflettere sulla crisi del mondo cinematografico che ha visto molti registi costretti tristemente ad adeguarsi a dinamiche impensabili fino a qualche anno fa: siamo ormai pienamente immersi nell’era dello streaming e le sale cinematografiche sono sempre più vuote, motivo del malinconico sconforto che assale il protagonista.
Per tornare a un’altra delle abili tecniche utilizzate da Moretti è necessario tener conto di quelli che in letteratura sarebbero etichettati come “riferimenti intertestuali”, di cui questo film è pieno zeppo: in più di una scena infatti compaiono citazioni relative a celebri lavori cinematografici del passato.
Tra questi sono soprattutto quelli felliniani a essere i più ricorrenti, nello specifico spuntano nessi con La dolce vita e 8 ½; del resto Federico Fellini è stato per Moretti un maestro da cui, in più di un’occasione, si è lasciato ispirare. Il sol dell’avvenire è un film che indugia sulla nostalgia della storia e sul necessario e doloroso cambiamento del tempo trascorso.
Il protagonista del film nel film soffre perché non sa se abbandonare o meno il Partito per la sua incapacità di prendere posizione rispetto all’imperialismo sovietico, e allo stesso tempo non sa se cedere a una dinamica filmica e commerciale in favore di ascolti ben ripagati che, tuttavia, non rispetta assolutamente il suo volere o se lottare strenuamente per salvare le proprie idee che si pongono come ultimo baluardo degli anni d’oro del cinema italiano.
Trailer de Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti (2023)
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