Un film diretto da Paolo Genovese
Un motivatore, un’agente di polizia, una ex ginnasta che ha perso l’uso delle gambe e un ragazzino sovrappeso: questi sono i protagonisti di Il primo giorno della mia vita, l’ultimo film diretto da Paolo Genovese.
L’intreccio muove le mosse a partire da una situazione metafisica e a tratti paradossale: i protagonisti, nel bel mezzo di una notte piovosa, si trovano tutti insieme “ospiti” di un misterioso individuo che li ha recuperati un attimo prima di attuare il loro suicidio.
Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto proprio da Paolo Genovese e pubblicato nel 2018 da Einaudi. Genovese, oltre a essere uno dei più noti registi e sceneggiatori italiani, si è cimentato più volte con la scrittura narrativa attraverso la stesura di romanzi che hanno sempre riscosso un notevole successo.
«Io quando sto male faccio sempre un gioco» dice Thomas. «Mi guardo intorno, osservo le persone, quel poliziotto per esempio», e lo indica con il mento, «quella mamma, quel tassista, quella coppia, e penso che tra… ottanta, cento anni non ci saranno più, non ci sarà nessuno di loro, ma proprio nessuno. Non ci sarà più quel bambino con il palloncino di Daffy Duck, né quella donna che litiga al telefono con chi sa chi. Non ci sarai tu e non ci sarò io. Saremo tutti sostituiti da altrettante persone con altrettanti affanni, problemi, speranze, paure. E fra altri cent’anni da altri ancora. […] Pensa quanto siamo sostituibili. […] Però siamo anche un po’ unici, perché la nostra storia non sarà mai uguale a quella di nessun altro.»
Emily, Aretha, Daniel e Napoleon sono quattro persone che non hanno mai avuto interazioni tra di loro, non si conoscono, hanno vissuti differenti, ma sono accomunati dalla medesima convinzione: ognuno di loro crede di avere ormai un motivo per porre fine alla propria vita.
Un attimo prima di compiere il gesto fatale, come detto, uno sconosciuto li convince a stringere un patto: avranno sette giorni di tempo per comprendere se farla veramente finita. Al termine della settimana, gli spettatori godranno di un finale inaspettato e per niente banale, che dà modo di effettuare interessanti riflessioni sullo straordinario senso della vita e l’effimera capacità umana di porvi fine.
La settimana in questione – condensata nelle quasi due ore di trasposizione cinematografica – sembrerebbe essere uno spazio temporale in cui i personaggi sono avviluppati in una dimensione in cui non vigono i consueti caratteri del razionale; essi, infatti, assieme all’uomo misterioso possono scorrazzare in auto, passeggiare, entrare nelle case e fare tanto altro senza che nessuno possa accorgersi della loro presenza. Tale sospensione della logica è utile ai protagonisti per osservare dettagliatamente cosa accadrà e come reagiranno parenti e amici quando apprenderanno della loro tragica fine.
Il film, sceneggiato da Genovese assieme a Paolo Costella, Rolando Ravello e Isabella Aguilar, si assume un compito arduo, quello di portare sullo schermo la tematica del suicidio che è chiaramente una questione delicata e complessa da trattare. L’errore più banale in cui si possa cadere è quello di provare a perseguire un qualsivoglia fine educativo e rieducativo. Questo film affronta la sfida nel migliore dei modi, grazie a una trama che in fin dei conti non presenta di certo un intreccio particolarmente elaborato, l’obiettivo in fondo è quello di ragionare sull’idea di «nostalgia della felicità», un desiderio che può alimentare la speranza e aiutare ad andare avanti.
I protagonisti soffrono per i motivi più disparati: c’è chi affronta la depressione causata dalla morte di una figlia, chi ha perso l’uso delle gambe, chi ancora subisce atti di bullismo e, per finire, chi non riesce a vedere la propria vita che come un completo fallimento. La convinzione rimane la stessa: non c’è più possibilità di riacquisire una felicità che sembra smarrita per sempre, ed è qui che interviene la nostalgia della felicità.
L’essere umano impara a capire, a proprie spese, che la felicità non è uno stato perenne in cui poter costantemente navigare, essa è piuttosto una presenza che appare e scompare in maniera intermittente. L’importante è non perdere mai di vista le persone che ci circondano: solo lì, in quelle persone che ci amano, c’è la speranza di ritrovare se stessi e quanto si è fatto, perché le nostre esistenze in fin dei conti sono inevitabilmente intrecciate, e l’essere umano è proprio la risultante del bene che diffonde intorno a sé. Questa è la lezione più importante che i protagonisti nati dalla penna di Genovese apprenderanno alla fine della fatidica settimana «in absentia».
Alcune foto presenti sul sito provengono, salvo dove diversamente specificato, da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se la pubblicazione non fosse ritenuta consentita, il legittimo proprietario può contattarci scrivendo a cc@nextaudiolibri.com: l’immagine sarà rimossa oppure accompagnata dalla firma dell’autore, laddove non presente.

