Succede quasi sempre che l’esperienza della visione di un film tratto da un libro non sia all’altezza delle aspettative e si trasformi in una delusione. Il quasi è d’obbligo, perché esistono dei casi particolari in cui non solo questo non avviene, ma capita addirittura che il film spiani la strada al libro. Uno di questi casi, eclatante se non addirittura unico, è senza dubbio il film Il Gattopardo, tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, prodotto dalla Titanus e uscito nel 1963 per la regia di Luchino Visconti.
Le Vicende editoriali del Gattopardo
Il Gattopardo fu pubblicato dopo la morte del suo autore, nel 1958, da Feltrinelli, grazie all’intuizione di Giorgio Bassani che, entrato da poco in casa editrice per dirigere una collana di autori contemporanei, lo propone a Giangiacomo Feltrinelli dopo che Vittorini lo aveva rifiutato per Mondadori e Einaudi.
Il tema del “grande rifiuto di Vittorini” fu per molto tempo la versione ufficiale del perché il romanzo di Tomasi di Lampedusa rischiò di non essere pubblicato. Vittorini, infatti, ebbe la possibilità di valutare per ben due volte Il Gattopardo.
La prima fu nel 1956 per la Mondadori, per la quale Vittorini svolgeva il ruolo di consulente editoriale, e la seconda, l’anno seguente per Einaudi, in qualità di curatore della collana I gettoni.
In entrambi i casi, Vittorini ne rifiuta la pubblicazione per motivi editoriali, di collana, ma ne apprezzò lo stile e i contenuti. In una nota, spiega le sue motivazioni: «Manca di qualcosa che rende monco il libro pur pregevole. Non si può far capire all’autore che dovrebbe rimetterci le mani? Intanto restituirei avendo cura di assicurarci che l’autore rispedisca a noi dopo fatta la revisione».
Una volta pubblicato, le polemiche e le remore da parte della critica furono molteplici. Il romanzo veniva considerato vecchio e inattuale. Si accese un pesante confronto politico e culturale che andò oltre la dimensione della lettura critica del testo.
Nel 1959 l’opera vinse il Premio Strega contro ogni aspettativa, anche se il pubblico ne aveva già decretato la vittoria con settanta mila copie vendute. Maria Bellonci lo racconta così, nel suo Io e il Premio Strega: «Fra i nostri 361 votanti c’era tempesta.
Qualcuno sosteneva che era impossibile non tener conto della presenza di un’opera simile nella nostra letteratura; rispondevano altri che appunto la sua eccezionalità la metteva fuori concorso. Nulla nel nostro regolamento vietava la sua inclusione nella lista.»
La trasposizione cinematografica di Visconti
Lo Strega fu certamente la consacrazione dell’opera, ma ciò che mise a tacere qualunque contrasto politico e culturale fu la bravura di Luchino Visconti che, con la sua trasposizione cinematografica piuttosto fedele al romanzo, ne rafforzò ulteriormente il successo, riuscendo a porre in risalto le intenzioni dell’autore e la riuscita effettiva di un romanzo che, malgrado le apparenze e le analisi di una parte della critica, di vecchio e inattuale aveva ben poco.
Il film, proiettato per la prima volta il 27 marzo del 1963 al Cinema Barberini di Roma e interpretato da Burt Lancaster, nel ruolo di Don Fabrizio, Alain Delon e Claudia Cardinale, nella parte della bellissima Angelica, a differenza del libro ebbe fin da subito un grande successo, sia per la critica che per il pubblico.
A differenza di quanto abituato a fare con le sue trasposizioni di testi letterari che, in genere, erano un punto di partenza da cui ricavare, poi, dei processi di trasformazione per arrivare alle sue personali conclusioni, con Il Gattopardo il regista scopre di essere in perfetta sintonia con l’autore e con l’essenza del romanzo, incentrato sull’inesorabilità del tempo, sulla vita e sulla morte, riuscendo a trasferire sullo schermo il sentimento di malinconia e di sconfitta che lo caratterizza.
E infatti, nonostante il film escluda gli ultimi due capitoli, molto importanti nel romanzo perché sottolineano l’importanza di uno dei temi principali dell’opera – quello della morte e dello scorrere del tempo – questo non va a modificare il significato complessivo dell’opera, anzi diventa un modo per consolidarne il valore grazie alla forza espressiva di immagini e scene che diventano essenziali per cogliere la centralità dei temi e la forza prorompente dei personaggi.
In tal senso molto significativa diventa la scena del ballo che, se nel libro occupa solo una piccola parte, nel film diventa una delle scene più importanti e chiarificatrici.
Il successo del libro grazie al film
Il film diventa così una sorta di completamento di un’opera che per certi versi era stata capita solo a metà.
Visconti, infatti, con la sua capacità di creare immagini suggestive e di evocare atmosfere e sentimenti profondi, ha saputo trasmettere il messaggio universale, già sotteso nel significato del romanzo, che va oltre la vicenda storica della Sicilia dell’Ottocento e che diventa spunto per una riflessione sul destino dell’uomo, sulla necessità di adattarsi ai cambiamenti e sull’importanza della memoria, dunque sul senso della storia e sulle sfide che ogni individuo deve affrontare nel corso della propria vita.
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