(foto: corrieredelmezzogiorno.corriere.it)

Gli Spatriati di Mario Desiati

Generazione senza meta e senza identità

Partire o restare? A volte può sembrare una scelta, ma di fatto non lo è quasi mai.

Spesso, infatti, si parte rimanendo ancorati a tutto ciò che si lascia e si inizia a vivere una vita a metà, da sradicati in ogni luogo.

Oppure si resta, ma solo fisicamente: l’anima e la mente rimangono distanti anni luce da tutto ciò che, per mancanza di coraggio o per semplice rassegnazione, si decide di non abbandonare, pur senza voglia e entusiasmo.

Un viaggio alla ricerca di sé

Spatriati, di Mario Desiati, edito da Einaudi e vincitore del Premio Strega 2022, è la storia di Claudia e Francesco, ma non solo.

Copertina libro "Spatriati" di Mario Desiati
Spatriati – Mario Desiati

È un viaggio alla ricerca di sé stessi che i due protagonisti compiono, ognuno a suo modo, per provare a scoprire la propria identità, ma il romanzo è incentrato, in qualche modo, sulla storia di tutti quelli che si sentono spatriètə, una parola che non ha solo il significato di espatriati, emigrati, ma che mette in campo tutte quelle accezioni comprese nel significato del termine dialettale, in particolare del dialetto pugliese: spatriato può voler dire ramingo, senza meta, ma anche irrisolto e persino interrotto. 

Francesco e Claudia si incontrano da ragazzi perché frequentano lo stesso liceo. Vivono a Martina Franca, un piccolo paese della Puglia che, per entrambi, diventa un luogo e una condizione da cui fuggire, una gabbia in cui il loro disagio diventa ancora più asfissiante, quasi fosse una condizione fisica legata al luogo.

Presto, però, entrambi, nonostante le differenti esperienze, si accorgeranno di quanto quel malessere sia piuttosto una condizione dell’anima, una sensazione che va oltre il luogo fisico, geografico, e che si impone dentro di loro come impossibilità di adeguarsi a ciò che le convenzioni chiedono. 

Per questo motivo la partenza sarà metaforica: sia lui che lei, in modo diverso, cercheranno altri luoghi ma soprattutto altre dimensioni per placare ansie e inadeguatezza, il loro sentirsi errati, spaesati e sempre nel posto sbagliato. 

Si muovono in maniera diversa, Claudia e Francesco: lei, più ribelle e più coraggiosa, decide subito di partire e di esplorare nuove città e nuove esperienze; lui rimane, ma combatte contro sé stesso e contro tutto quello che per lui diventa un appiglio che non gli permette di andarsene. 

Tutti e due saranno dei raminghi alla ricerca continua di un luogo e di una dimensione che offrano loro la possibilità di riconoscersi e di ritrovarsi, ma di fatto restano a metà: interrotti e irrisolti.

In modo diverso, dunque, i due protagonisti provano a capire e a capirsi, a trovare la dimensione che cercano e che gli appartiene, aggrappandosi a ogni cosa che possa metterli di fronte a sé stessi come di fronte a uno specchio. I libri, i film, le persone, le occasioni sbagliate, la fede, i riti: ogni cosa è prima un pretesto di scontro che si trasforma successivamente in un’occasione per incontrarsi di nuovo.

Generazione di Spatriati

Claudia e Francesco danno voce a una generazione, quella dei 40/50enni, nati tra gli anni ‘70 e gli anni ’80: gli irrisolti, i disorientati, i dispersi, in un senso più ampio e metaforico. 

Una generazione che si è ritrovata a fare i conti con dei cambiamenti repentini la cui conseguenza è stata un senso di straniamento forte, evidente, che per alcuni si è trasformato in inadeguatezza e impossibilità di adattarsi a quelle trasformazioni, ma anche di proseguire sulla strada a cui erano abituati per cultura e tradizione; per altri, invece, è diventato un pretesto per inseguire i propri sogni senza freni e senza contenere entusiasmi forse sovradimensionati.

Una generazione che nell’adattamento ha dovuto trovare la propria essenza, cercando sé stessa in un altrove che non ha saputo mai né definire né, tutto sommato, trovare, continuando a vivere con le valigie pronte, ma, in fondo, rimanendo immobile e spatriata ovunque.


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