La poesia come rito collettivo
1 agosto, Camerano, bosco della cantina Angeli di Varano: tra un bicchiere di vino, il canto delle cicale e le balle di fieno si è consumato un rito collettivo. Franco Arminio, per la rassegna Non a voce sola, ha innescato una serie di azioni poetiche corali insieme a un pubblico numerosissimo.
La presentazione del suo ultimo libro, Studi sull’amore edito da Einaudi, è stato solo un tassello, un pretesto. L’evento si è rivelato infatti un’esperienza corale assoluta, in cui si è passati dal riso sfrenato alla commozione, dal gioco alla percezione del sacro, dal canto alla poesia, dal ragionare sull’amore al riflettere intorno alla morte.


«Sacro è guarire qualcuno guardandolo.»
Franco Arminio
«Sacro è avere una parola solitaria e rivolgerla a tutti.»
«Sacri sono gli abbracci che fanno luce nelle ossa.»
Il poeta paesologo ha sfoggiato una potente comicità, una maestria da mattatore, figlie dell’eredità di un padre oste, richiamando aneddoti dell’infanzia, invitando i presenti a condividere le proprie poesie – è intervenuto anche il poeta anconetano Luigi Socci -, intonando Gino Paoli e le note di Bella ciao.
Uno stile democratico, parole che si fanno poesia senza la pretesa di esserlo, la semplicità che arriva con forza negli abissi profondi del sentire. E la matrice del tutto è da ricercare non nei volumi di una biblioteca, ma nei meandri della strada.
L’amore di Arminio è corpo, contatto, preghiera, invade le persone, le cose, i paesi in una dimensione della comunità che oggi è tutta da recuperare. La parola SACRO risuona nell’aria come un ritornello.


«Bisogna avere il coraggio di essere fragili,
Franco Arminio
e non fa niente se diamo a tanti
l’illusione del bersaglio facile,
se mostriamo la crepa
che gli altri possono allargare.
Dobbiamo avere il coraggio di farci trovare
sempre un po’ in affanno, in disordine,
in fuorigioco, lontani dalla vita,
in debito di ossigeno, di amicizie,
lontani da ogni porto sicuro,
sperduti anche a noi stessi.»
L’io del poeta si apre al “noi”. Arminio leggendo i propri testi costruisce ponti, uno dopo l’altro, tra il sé del presente e quello del passato, tra la sua persona e il pubblico, tra le diverse culture degli astanti, tra le lingue e i dialetti, tra parole, suoni e immagini.
La poesia si fa cura del presente, il “turismo della clemenza” diviene strategia di ricerca di senso: come antidoto al male di vivere veniamo infatti invitati a frequentare i piccoli paesi, dove ogni singola presenza si rivela carica di significato, dove una parola scambiata con un vecchio abitante del luogo può fare la differenza.
Nel corso della serata c’è spazio anche per le lapidarie Cartoline dai morti, il cui spirito sferzante affronta corpo a corpo la tragicità della fine: «Sono morto alle sette del mattino. Un modo come un altro per iniziare la giornata.»
L’umanità del poeta è contagiosa, ci sentiamo parte di un tutto, di una sorta di incanto atemporale destinato a spezzarsi troppo presto.
Alla fine porto con me il gusto dell’ilarità, di fronte a scene che nulla avrebbero da invidiare alla Corrida di Corrado, e il piacevole turbamento dell’esperienza estetica, di cui già sentivo la mancanza sulla via del ritorno.
Il desiderio di incontrare ancora Arminio è forte – la sua Festa della Paesologia, La luna e i calanchi, (19-21 agosto ad Aliano), sarebbe un’occasione da non lasciarsi sfuggire – con la convinzione e la consapevolezza che davvero la Bellezza può salvare il mondo!


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