Era ora, remake del celebre Long Story Short del regista australiano Josh Lawson, è l’ultimo film di Alessandro Aronadio. Uscito su Netflix, ha stabilito in poco tempo un incredibile primato per una pellicola italiana: è divenuto il film non in lingua inglese con il maggior numero di visualizzazioni sulla piattaforma mai realizzato finora!
Lo spettatore assiste all’ordinaria quotidianità di Dante, un uomo comune come tanti altri, che trascorre buona parte delle sue giornate al lavoro come impiegato in una prestigiosa azienda. Convive stabilmente da molto tempo con Alice, la sua fidanzata, con cui spera di metter su famiglia, ha degli amici e un padre che, purtroppo, si è comportato per lungo tempo in maniera anaffettiva con lui.
Fin qui parrebbe tutto normale se non fosse che Dante è uno stacanovista nel vero senso della parola: impiega sempre più tempo del dovuto a lavorare, al punto tale da non concedersi mai una giornata di ferie da poter spendere con le persone che ama.
Il lavoro che in teoria dovrebbe nobilitare l’uomo, in questo caso non fa altro che condannarlo, perché Dante – proprio come uno dei condannati dell’inferno dantesco – ben presto sarà costretto a vivere un incubo interminabile: ogni mattina, a partire dal giorno del suo quarantesimo compleanno, si risveglia in un anno diverso, scoprendo l’evoluzione catastrofica della sua vita in un lasso di tempo relativamente breve.
Come se fosse in una vorticosa trappola spazio-temporale, il protagonista non ha modo di interrompere la sfrenata corsa del tempo nella sua vita per cui lui, che non ne ha mai avuto a sufficienza, adesso lo percepisce come un’entità completamente sfuggevole.
In questa burrascosa frenesia il protagonista avrà modo di scoprire risvolti inaspettati in relazione alla vita coniugale con Alice, verrà a sapere di avere una figlia e di essere diventato il direttore dell’azienda per la quale ha continuato a sacrificare il suo tempo facendo numerosi straordinari.


All’inizio Dante decide di cercare soluzioni razionali e si rivolge a un medico che per tutta risposta gli suggerisce di dimenticare tutto e che tale situazione potrebbe essere causata dall’eccessivo stress a cui il lavoro lo sottopone; eppure lui sa che non è questa la verità e che è intrappolato in una condizione paranormale e inquietante.
Alla fine, nonostante la paura che lo irretisce, Dante riesce a trarre delle riflessioni fondamentali in merito a ciò che sta sconvolgendo la sua vita: è forse soprattutto il rapporto con sua figlia, questa bambina che non ricorda neanche quando e in che modo è arrivata nella sua vita, a destabilizzarlo di più.
Svegliarsi ogni mattina in un anno diverso e non ricordare assolutamente nulla della crescita di Galadriel lo farà sentire assolutamente impotente: la osserva diventare grande non la conosce affatto, a stento sa il suo nome alquanto bizzarro, eppure sente di amarla perché nonostante tutto è sua figlia.
Ciò lo distrugge mentalmente, da papà non ha potuto godere dei ricordi che avrebbe dovuto custodire nella sua mente legati alle prime conquiste e ai primi progressi della bambina nel suo percorso di crescita.
La riflessione sul tempo che l’essere umano ha a disposizione e su come lo impiega non è certamente un tema inedito nella storia della narrazione, anzi, costituisce un topos, un motivo ricorrente. Insomma, quella presente in questo film non è una tematica molto innovativa, eppure l’ottima resa della storia fa emergere una commedia divertente e atipica, la cui prospettiva straniante può condurre a riflessioni sempre attuali.
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