L’ultima fatica del regista sudcoreano Park Chan-wook, Decision to Leave (2022), è una discesa nel desiderio, così lenta da sembrare poesia e così interminabile da impedirne la soddisfazione. Il film è stato presentato al 75º Festival di Cannes, in concorso per la Palma d’oro e vincitore del Prix de la mise en scène (miglior regia).
Park Chan-wook torna sul grande schermo dopo sei anni di assenza e, come ci ha abituati, si dimostra a suo agio nel raccontare l’evoluzione emotiva dei protagonisti, con primi piani che staccano velocemente e silenzi misurati che danno ulteriore profondità ai dialoghi.
L’intensità delle emozioni cresce gradualmente e quasi per contrapposizione, a rallentare il ritmo, iniziano inquadrature fisse su dettagli che solitamente veicolano tali emozioni: un sorriso tra le labbra, uno sguardo inebriato o un fine gesto.
Una discesa nel desiderio
Il presunto suicidio di Ki Do-soo, ufficiale dell’immigrazione in pensione, intreccia la storia del detective Jang Hae-jun e di Song Seo-rae, moglie del defunto. L’indagine si rivela il catalizzatore del gioco di seduzione che si protrarrà, alternandosi con efficacia in un gioco di presenza-assenza, ininterrottamente dall’inizio alla fine.
La seduzione è invero un abisso in cui sprofondano indistintamente sedotti e seduttori, al punto che, alla conclusione di Decision to Leave, non rimane più ossigeno con cui dar fiato agli inganni. Resterà solo una buca nel cuore, ricoperta di sabbia e sale.
Il finale matura in modo estremamente poetico, inserendosi coerentemente nel quadro di un annientamento individuale e interindividuale, accompagnato da un leitmotiv marino che a più riprese viene dettagliato, non sempre in modo esplicito, dall’ottima fotografia e dalla sceneggiatura. Mare e amore vengono infatti vincolati a cicli naturali, che avanzano e indietreggiano, fanno e disfanno, affiorano e si inabissano.
«Il lutto colpisce in modo diverso: per alcuni è come un’onda, per altri si spande lentamente come inchiostro nell’acqua». (Ki Do-soo)
Decision to Leave – Tra giallo e rosa
Omicidi e indagini sembrerebbero tingere di giallo – o di nero? – l’intera pellicola, ma in realtà altro non sono che lo sfondo di una tormentata storia d’amore, che come alberi di ciliegio, tanto cari alla cultura orientale, fiorisce, e subito i petali rosa, cullati dal vento, se la portano via.
Lungo una simile prospettiva la morte scandisce il ritmo dissonante dell’amore in continua tensione verso i due poli, nel tentativo di far cessare l’insopportabile insoddisfazione. Il tempismo, ostacolato dal raccontare e dal raccontarsi menzogne, consegnerà tuttavia il romanticismo al melodramma.
Song Seo-rae crea l’amore e poi ne viene distrutta, disvelando la cosmogonia di sentimenti universali perduti nei recessi dell’oceano. Ki Do-soo viene irretito dalla femme fatale e inconsapevolmente rinnega ciò che è, fino ad annichilirsi. Né l’uno né l’altra riusciranno a darsi pace, tormentati dalla semplicità di tutte le altre relazioni ordinarie.
Quello fra i due è un amore impossibile, perché il dubbio ha soverchiato la magia.
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