SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
UNO STUDIO SULLE AZIONI
Sera del 24 maggio: la primavera tarda ad arrivare. Avevo segnato questa data nel mio calendario. Qui a Perugia avviene finalmente l’incontro che non c’è mai stato, si ripara forse un torto, i due maggiori drammaturghi di inizio Novecento si danno finalmente la mano: Brecht ospita Pirandello.
Sul palcoscenico del Teatro Brecht di Perugia, infatti, va in scena Sei personaggi in cerca d’autore, con la regia Massimiliano Burini e interpretato dai corsisti del suo laboratorio.
IL PROGETTO
Dietro quest’ora di spettacolo c’è un lavoro di diversi mesi, spalmato in più di 25 incontri con cadenza settimanale. Il metodo teatrale adottato ce lo spiega lo stesso regista. È quello celebre degli études, lo studio delle azioni fisiche messo a punto da Stanislavskij, metodo che Burini ha ereditato direttamente, fisicamente, da un erede dello stesso grande attore e regista russo.
«Quando lavori sulla parte, devi cominciare dalle radici del personaggio. La mia idea è di togliere il testo all’attore e farlo lavorare sulle azioni, che si estraggono dalla commedia: se non bastano, inventarne altre nello spirito dell’opera: che farei se io, adesso, oggi, qui… mi trovassi in circostanze analoghe a quelle del personaggio? […] Per elaborare delle azioni autentiche, produttive, funzionali, ed assimilarle, bisogna esercitarsi in scena.»
(da K.S. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore su se stesso).
E per capire come è stato vissuto da chi ha frequentato il corso, ecco alcune testimonianze:


Ida Cupido
«Il laboratorio è stata un’esperienza incredibilmente immersiva. Il metodo ha previsto un’accelerazione per via della cadenza settimanale. Abbiamo studiato l’opera cercando di scoprire il lato più intimo di ogni personaggio. Abbiamo scelto insieme al regista di incentrare il tutto nel momento in cui la compagnia era in attesa del capocomico che era a colloquio con i personaggi per scrivere finalmente la messinscena della loro tragedia. È stata una doppia immersione: la prima nelle figure degli attori inquieti infastiditi per la nuova sconosciuta opera da rappresentare, e la seconda nello studio dei i personaggi.»


Lorenzo Minciarelli
«Ho accettato subito non solo perché avrei avuto la possibilità di affrontare uno dei testi più emblematici e interessanti della produzione teatrale di Pirandello, ma soprattutto perché, da attore, avrei avuto la possibilità di approfondire una tecnica di recitazione estremamente complessa che non avevo mai sperimentato prima. Un lavoro che, grazie alla direzione e alla professionalità del regista, ci ha permesso di scoprire alcuni dei tanti segreti del mestiere artigianale dell’attore.»


Giulia Natalini
«Salire su un palco prendendo nuove forme e sembianze mi permette di nutrire il mio daimon. Mi accendo, mi illumino, cresco, mi accresco, divampo. Per questo il teatro mi appassiona. Se poi il testo è geniale come Sei personaggi in cerca d’autore, il godimento è massimo. Il metodo dell’étude ha stimolato ulteriormente il lato “animale” del lavoro, costringendoci all’apertura continua verso il gruppo, a tenere una tensione altissima educandoci all’ascolto dell’altro e degli altri.»


Silvia Pellicano
«Approcciarmi a una messa in scena utilizzando il metodo delle azioni fisiche è stato impegnativo ma estremamente stimolante. Dopo aver sviscerato il testo, abbiamo iniziato con le improvvisazioni. Un giorno poteva capitare di essere madre, un altro figlia o padre. Potevi entrare e uscire da tutti i personaggi. E dopo tante azioni fallite, certe volte accadeva qualcosa di magico: un’azione fisica creava un’immagine e l’immagine un’emozione.»


Sebastiano Ragni
«Spesso ci si chiede cosa renda un attore un bravo attore. Ciò che differenzia il parlar bene dal comunicare, rendere le parole scritte carne e sangue, sta alla base dell’atto performativo. Grazie al lavoro propostoci siamo riusciti a sperimentare la sensazione di essere veramente vivi in scena e questo grazie al percorso didattico che ci ha fatto staccare dal testo di partenza per dare spazio alle nostre parole e alle nostre idee che sono poi diventate le parole del personaggio. Siamo entrati nella nostra intimità per poi uscirne sinceri di fronte al pubblico. Credo che chi non conoscesse bene la storia non abbia capito a fondo tutte le nostre elucubrazioni, ma ha sicuramente assistito a uno spettacolo in cui 11 esseri umani cercano di entrare in relazione tra loro e a volte, a scanso di tutti i pronostici, ci riescono.»
L’INIZIO DELLO SPETTACOLO
Lo spettacolo inizia e mi ritrovo catapultato alla prima, avvenuta il 9 maggio del 1921. Ora come allora l’incredulità di alcune spettatrici sedute dietro di me è la stessa. La prima avverte le altre che la platea si è fatta silenziosa e chiede il perché. La seconda risponde che non lo sa, ma le luci in sala sono accese, quindi possono continuare a conversare amabilmente. La terza dice che lo spettacolo doveva iniziare mezz’ora fa, sono in clamoroso ritardo: «Ancora stanno sistemando il palco!»
Mi sto per girare e avvisare che in realtà è iniziato, anche se penso che dovrei starmi zitto, in fondo tutto questo è voluto da Pirandello, ma mi volto comunque e mi accorgo che una donna, a fianco delle tre signore, le ha già fulminate con lo sguardo, e mi fa immergere in quella prima al Teatro Valle di Roma in cui la platea si divise tra detrattori che urlarono allo scandalo e sostenitori della novità e del genio del drammaturgo siciliano.
Una cosa così non si era mai vista. Non ci sono segnali. Non c’è la luce che si spegne di colpo né il sipario che si apre su una scenografia precisa, magari di un salotto borghese. Si sta in un teatro in cui non c’è niente di certo, non ci sono appigli, non si è in una comfort zone. Persone entrano ed escono sul palcoscenico, spostano oggetti, sembra di essere arrivati con notevole anticipo e di assistere non a uno spettacolo ma alla sua preparazione. Questo spettacolo si presenta così:


Le indicazioni di scena fornite sul libretto, che ovviamente nello spettacolo teatrale non vengono mai riportate e sono spesso saltate dal lettore, qui invece vengono lette, alla fine – alert spoiler ma poco importa – dallo stesso Burini, sempre presente in scena, ma fino alla fine silenzioso, si limita a osservare i suoi attori e le sue attrici e a muovere la telecamera che proietta le immagini sul fondo del palcoscenico.
Quindi ciò che apre il copione chiude lo spettacolo di stasera, con un’innovazione che mi è parsa geniale. Burini al microfono conclude:
«Di giorno, su un palcoscenico di teatro di prosa. La commedia non ha atti né scene. Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato il sipario, e il palcoscenico com’è di giorno, senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto, perché abbiano fin da principio l’impressione d’uno spettacolo non preparato».
FINZIONE vs REALTÀ
«Noi autori abbiamo l’ambizione di rendere plausibile quello che non lo è. È una sfida continua, la nostra»,
afferma sdraiato e sofferente uno straordinario Toni Servillo nei panni di Pirandello ne La stranezza. E Verga, interpretato da un sontuoso Renato Carpinteri, lo aveva avvertito:
«Tu ti sei messo a camminare per una strada desolata, piena di pericoli. Una strada che nessuno conosce e non si sa neanche dove arriva. Tu hai messo una bomba sotto le fondamenta dell’edificio che noi, a fatica, abbiamo costruito: la realtà.»
È vero, questo testo è una bomba che sgretola il realismo di Flaubert, il naturalismo di Zola e il verismo di Verga, insomma, più di 50 anni di letteratura e che annuncia l’assurdo di Camus, Ionesco e Beckett. Gli attori e le attrici del laboratorio targato SpazioMai sono persone e personaggi, ci sono persone che interpretano personaggi, ci sono personaggi che chiedono ad altri personaggi di rappresentare scene di vita quotidiana, come la lavandaia e la morte della bambina, e tutti insieme si mettono sul proscenio per sfondare la quarta parete ripetendo ossessivamente:
«Chiudete gli occhi.»
A chi lo dicono? Al pubblico, che è percepito dai personaggi che chiedono solo di sospendere il senso del reale, di abbandonarsi al sogno, di entrare nella prospettiva di chiedersi chi siamo, come fa Il fu Mattia Pascal.
IL GRUPPO
Sono passati 100 e più anni dalla prima e si sentono tutti, non nell’essenza ma nella resa. La multimedialità che questo teatro offre è usata al meglio da Burini per un Sei personaggi contemporaneo.
È il gruppo però la vera forza, la vera sorpresa. Non sono attori professionisti, almeno al momento, ma hanno tutti e tutte lavorato sodo per arrivare qui, stasera, per lasciarsi trasportare dall’energia interpretativa, come un fiume in piena che esonda, come quell’acqua che è elemento chiave del dramma.


Eccolo qua, il gruppo, che emerge dall’inizio per chi ha messo in scena il capolavoro pirandelliano nel corso del tempo. Guardate queste tre foto: il gruppo della prima compagnia, quello del film La stranezza e l’ultima, viva e fremente, dello spettacolo di Burini. Notate qualche somiglianza?
Questo è insomma il bel gruppo, la folta schiera, che ha lavorato sul palcoscenico dove, secondo Pirandello, «tutto vi si fa, tutto vi si muove, tutto vi è tentativo improvviso», che ha celebrato un testo drammatico imperituro in nuove forme ma con medesima sostanza.
«Si nasce alla vita in tanti modi, in tante forme […]. Si nasce anche personaggi.» Si nasce o si diventa anche attori, attrici. E stasera, su questo palco, sospesi tra Brecht e Pirandello, ne sono venuti alla luce diversi.
MADAMA PACE
E poi al centro del gruppo c’è lei, Madama Pace. Questo personaggio nasce nella mente di Pirandello, pare un miracolo, ce lo dice lui stesso, nasce per «fantastica necessità […] sostenuta da vera necessità in misteriosa organica correlazione con tutta la vita dell’opera». Il suo grido risveglia le coscienze. La scena centrale che innesca è immersa nel rosso lussuria ed è avvolta dalle note di Boa sorte. Si balla, sul palco, la sensualità investe tutto, le voci di Ben Harper e Vanessa da Mata si rincorrono e intrecciano. I personaggi ballano, si sfiorano eroticamente. C’è lei, sul palco, questa
«megera d’enorme grassezza, con una pomposa parrucca di lana color carota e una rosa fiammante da un lato, alla spagnola; tutta ritinta, vestita con goffa eleganza di seta rossa sgargiante, un ventaglio di piume in una mano e l’altra a sorreggere tra due dita la sigaretta accesa.»
Una scena che incanta, che diverte, dai colori accesi e dalla musica forte, dal ritmo perfetto nella scena che precede il gran finale.


FINALE
E il finale è che il teatro serve, per conoscerci, per vederci dall’esterno. Usciamo dalle nostre tiepide case per andarci, per frequentare spazi che parlano di noi. Il teatro è più vero del vero. Serve a noi come persone. La stessa parola, persona, non significa etimologicamente maschera, ciò per cui la nostra voce risuona? Quante maschere indossiamo, noi individui? Siamo persone, dunque personaggi di questo dramma che si chiama vita? Il teatro serve a noi ed è a nostro servizio, è un bene sociale che spesso dimentichiamo e che dovremmo avere nelle scuole, in tutte. Sei personaggi in cerca d’autore parla di questo aspetto della nostra esistenza, del nostro relazionarci gli uni con le altre, le une con gli altri. E così hanno fatto Burini e la compagnia, questo ci hanno restituito gli attori e le attrici del suo laboratorio.
Pirandello, ne sono certo, ha gradito l’incontro al Brecht.
Finzione! Realtà! Andate al diavolo tutti quanti!!!
N.B. Le immagini di scena, stupende, sono tutte di Giulia Bartocci. Per diversi momenti ho pensato facesse parte della finzione, che non fosse reale, che interpretasse la parte della fotografa di scena, perché si muoveva in platea, scattava, ripartiva. E invece no, le foto, come vedete, le fa davvero e davvero belle. Vale la pena contattarla per immortalare i vostri spettacoli, che dite?
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