Il documentario
Diventato quasi una macchietta per la tv che lo ha visto anche come attore, Louis Armstrong rivela nuovi aspetti in questo atteso documentario presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e disponibile su Apple+Tv, su abbonamento.
Si chiama Black&Blues il film dell’autore, artista e regista Sacha Jenkins e del produttore, regista ed ex attore Ron Howard che ha firmato due film su icone dello spettacolo, Eight Days A Week (sui primi anni in tour dei Beatles) e Lucy and Desi (sull’amore tra Lucille Ball e Desi Arna).
Dietro alla maschera di musicista straordinario e personaggio cinematografico, il più noto Louis Armstrong, c’è l’uomo Armstrong, ricostruito attraverso molti inediti: registrazioni casalinghe, incisioni, foto d’archivio, conversazioni intime.
Ne viene fuori un ritratto preciso del trombettista che ha cambiato la storia del jazz.
A lui si devono le innovazioni nella melodia e l’escalation della tromba come strumento solista nelle orchestre dixieland e swing.
Tutti imitavano Armstrong, tutti volevano Louis Armstrong
Nella seconda parte della carriera sfruttò molto di più la sua voce, che influenzò i cantanti successivi: voce che naturalmente si accoppiava a una mimica inconfondibile e accattivante. Le sue performance divennero storiche, mitiche le sue interpretazioni, una per tutte What A Wonderful World.
La novità di questo lavoro è forse l’approfondimento del lato umano rispetto al lato musicale.
Louis Armstrong fu preso come simbolo della lotta per l’uguaglianza dei neri, ma in realtà non è mai stato un artista impegnato. Lui stesso afferma nelle testimonianze del film di non aver mai voluto apertamente mostrare il suo pensiero politico, e di esser stato volutamente fuori da ogni manifestazione e rivendicazione. Sosteneva però le lotte attraverso generose donazioni in denaro, mai sbandierate.
Solo in un’occasione si fece sfuggire una critica all’anticostituzionalità dello Stato dell’Arkansas dove si consumò un attacco dei bianchi contro i ragazzi neri che andavano a scuola (era il 1957).
Ma di fatto, anche per i suoi camei in film d’epoca (New Orleans, High Society, Glenn Miller Story, Paris Blues, Hello Dolly, ad esempio), per il suo viso plastico e il suo sorriso da cartoon, per la sua voce così caratteristica del mondo black, viene ricordato come un eminente esponente della musica nera accettato dal mondo dei bianchi.
L’uomo dietro l’artista
Sempre sorrisi e divertimento, con lui. Arrivava come un imbonitore della sala per lasciare tutti a occhi aperti. E rappresentava, con il suo grande sorriso bianco in un volto nero, i valori, la storia, la musica di New Orleans, dove è nato il jazz.
Le sue interpretazioni di When the Saints Go Marching In sono storiche e simboliche («When the revelation (revolution) comes», «quando la rivelazione (rivoluzione) verrà») tanto quanto quelle di un’altra icona black, Billie Holiday, che cantava con commozione Strange Fruits, il pezzo che rappresentava in poesia un episodio di impiccagione di lavoratori neri delle piantagioni del sud.
Per essere accettato nel mondo dello spettacolo, Louis Armstrong non si esponeva e preferiva essere placidamente non engagé.
Il documentario si dilunga spesso sulla mania perfezionista di Armstrong di ascoltare le sue registrazioni e comparare le sue performance con quelle di altri, per migliorarsi. Anche per questo possedeva i migliori registratori del tempo.
Infine, il film di Sacha Jenkins racconta la malattia e la morte di quest’uomo così energico: un ritratto che diventa dunque blues, con i suoi elementi di tristezza. Armstrong “black” e “blue”, non solo un sorridente personaggio da palcoscenico.
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