Lo conosciamo tutti e tutti siamo rimasti colpiti da almeno una sua opera. Banksy è sicuramente l’artista – street artist, per la precisione – simbolo del nostro secolo, perennemente ostacolato dalla critica d’arte e continuamente osannato dal pubblico, soprattutto più giovane.
Che sia un artista, nel senso classico del termine, o meno, poco importa, ha mezzi espressivi superbi, capacità di fomentare proteste, svelare significati, raccontare conflitti in immagini dalla forza straordinaria in equilibrio tra sarcasmo e profondità, ma è anche abilissimo comunicatore e fine marketer pur non avendo profili social e conservando ferocemente l’anonimato.
Il suo punto di forza è l’immediatezza delle immagini che costruisce: strutture semplici, pulite, da cui l’occhio è prontamente rapito. Il meccanismo cognitivo che innescano le figure di Banksy è quello del sorriso perché sono costruite in equilibrio tra ironia e sbeffeggio di una situazione politica o sociale, ma subito la percezione è costretta a calarsi dentro l’immagine e ne carpisce, così, la profondità del messaggio. In pochi tratti riesce a sviluppare concetti taglienti e rivoluzionari, ma anche poesia e garbo per i temi più delicati.


«L’arte dovrebbe confortare i disturbati e disturbare gli amanti delle comodità.»
A questo, unisce la tecnica: Banksy è un writer, uno di quei giovani graffitari che imbrattano i muri delle città con i loro disegni lanciando proteste o semplicemente per esprimere la loro arte che per anni è stata rifiutata dai canali tradizionali delle mostre e ancora oggi fatica a essere accettata come tale. È un’arte giovane, per i giovani, che parla il loro linguaggio ed esprime il loro disagio seppur ancora fuori legge in molte città.
Banksy ha iniziato come writer, ma ha poi adottato per le sue opere lo stencil,cioè maschere di cartone pretagliate a grandezza naturale che si appoggiamo al muro per riprodurvi l’immagine con lo spruzzo dell’aerografo e qualche pennello. Una tecnica che gli permette un’esecuzione molto più veloce e anche la ripetibilità infinita del soggetto magari in luoghi molto diversi.
Su questi due fondamenti poggia il grande, planetario, successo di Banksy che nel corso degli ultimi decenni non ha davvero risparmiato niente e nessuno facendo passare nel setaccio dei suoi murales conflitti, emergenze, politica, moda e abitudini sociali. Usa la strada come vetrina, non è legato a nessuna galleria o museo, stabilisce lui stesso le sue mostre anche se a queste preferisce i grandi, insoliti e anche strampalati eventi da lui organizzati. Un no secco anche a quei canali tradizionali che rappresentano l’arte e il mercato che vi gira attorno. Ha rifiutato con gesti davvero plateali la mercificazione dell’arte, ma ha accettato alcuni suoi meccanismi divenendo l’artista più quotato di questo periodo.
«Non possiamo fare nulla per cambiare il mondo finché il capitalismo non si sgretola. Nel frattempo, dovremmo andare tutti a fare shopping per consolarci.»
Nel 2018 la sua celebre Girl with ballon è stata battuta all’asta dalla Sotheby’s per un milione di sterline, ma in quello stesso momento, grazie a un piccolo tritadocumenti nascosto nella cornice, la stessa opera si è parzialmente distrutta. Una provocazione contro il mercato dell’arte? Un gesto plateale per far parlare di sé? Uno schiaffo ai “compratori di arte”? Si, tutto questo è possibile ma rimane un solo risultato: la nuova opera tagliata a cui è stato dato il nome di Love is in the bin è stata venduta, solo tre mesi dopo, per l’incredibile cifra di 18 milioni di sterline.


L’ultima peculiarità di Banksy è che non esiste: non si sa chi ci sia dietro questo nome, si suppone sia nato negli anni Settanta del Novecento, alcuni dicono a Bristol nel 1974_ L’unica certezza è la sua esplosione in tutto il mondo a partire dal 2000. Non ha mai svelato la sua identità, le poche interviste le ha rilasciate incappucciato e si serve di un gruppo di collaboratori che sono ben ligi nel conservare il suo anonimato, ecco quindi come è nato il sospetto che in realtà non sia una singola persona, ma un collettivo che agisce con questo pseudonimo.
La caccia alla vera identità di Banksy ha coinvolto addirittura la polizia e alcune università con elaborati software di tracciamento che hanno individuato almeno un paio di persone, ma nessuna conferma o prova ufficiale ha mai risolto l’enigma. L’anonimato è sicuramente un’arma vincente per chi ha iniziato come writer muovendosi in un contesto cittadino di violazione degli spazi che non gli concedevano di usare la sua vera identità. Oggi le cose sono cambiate, ma mantenere il mistero enfatizza ancora di più l’attenzione verso questo artista.
«Alcune persone diventano poliziotti perché vogliono rendere il mondo un posto migliore. Alcune persone diventano vandali perché vogliono rendere il mondo un posto più bello.»


Le prime opere sono state rintracciate proprio nella britannica Bristol negli anni Novanta e poi il crescendo prima tra le capitali europee, poi nel resto del mondo. Opere che nascono nel giro di qualche ora e che sorprendono il pubblico che si trova con un Banksy al muro da un giorno all’altro imparando il significato di un messaggio fulmineo e tagliente.
Tra i suoi soggetti preferiti ci sono i topi umanizzati e protagonisti di tante opere:
“i topi… esistono senza permesso. Sono odiati, cacciati e perseguitati. Vivono in una quieta disperazione tra la sporcizia. Eppure, sono in grado di mettere in ginocchio intere civiltà.”
Il topo che vive nei sobborghi ed è cacciato da tutti perché sporco e portatore di malattie aumenta con l’aumentare del cibo, per sillogismo i topi aumentano dove c’è benessere economico che, però, non equivale a benessere sociale. Il topo è una sorta di alter ego di Banksy e dei tanti graffitari che compiono atti fuori legge per esprimere il loro parere, ma lui stesso sottolinea anche come la parola “rat” sia l’anagramma di “art”.
La contemporaneità è al centro della sua opera, certo vi è la politica e la guerra come quando dà voce ai perseguitati, soprattutto ai bambini come in No Future, ma si occupa anche di catastrofi parlando di vittime di uragani come la poetica ragazza con l’ombrello (The umbrella girl), o della recente pandemia e della nostra dipendenza da smartphone (Mobile lovers).
Sempre presenti le denunce sociali all’insegna dell’ironia come Sweep it under the carpet con la famosa cameriera che nasconde la sporcizia sotto il tappeto, o la guardia della regina Elisabetta che viene sorpresa mentre orina (Queen’s guard pissing).
Altre denunce sono molto più crude, come il famoso Follow Your Dreams, Cancelled che annienta il grande sogno americano. C’è poi un filone che ritrae i classici dell’arte sacra, soprattutto madonne con il bambino trasformate in messaggi durissimi: la madonna che offre un biberon di veleno a suo figlio (Toxic Mary), o l’altra che regge sulle ginocchia il bambino con una cintura di dinamite pronto a farsi saltare in aria è intitolata “persino un kamikaze ha bisogno di un abbraccio” (even a suicide bomber needs a hug).


















Ma Banksy è ancora altro. Abbiamo già sottolineato come non ami esporre in mostre e musei preferendo eventi pubblici come Dismaland (dismal = triste, land = Terra), una terra del non-divertimento, nata per far riflettere e che ovviamente si ispira ai famosi parchi tematici di Disney. Nata nel 2015 in un litorale per turisti ormai abbandonato a Sud dell’Inghilterra, è rimasta aperta per circa un mese e come attrazioni vi erano, rovesciati e distrutti, tutti i topoi consumistici e capitalistici della nostra società, primo fra tutti il mondo fantasy che di solito caratterizza i parchi divertimento.
Nel marzo del 2017 ha aperto un albergo a Betlemme proprio davanti al muro che separa la Palestina dall’Israele. Si chiama Walled Off Hotel, conta una decina di camere tutte diverse e arredate con le sue opere, un ristorante e ovviamente una galleria che ospita anche creazioni di artisti palestinesi.
Per fare il giro del mondo con le opere di Banksy basta recarsi in una stazione ferroviaria – spazio non convenzionale per l’arte, ma perfettamente in stile con la filosofia del writer – a Torino, Verona o Roma per il The World of Banksy, mentre a Palazzo Pallavicini di Bologna è in corso la mostra Jago, Banksy, TvBoy e altre storie controcorrente.
Per info su Banksy:
Alcune foto presenti sul sito provengono, salvo dove diversamente specificato, da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se la pubblicazione non fosse ritenuta consentita, il legittimo proprietario può contattarci scrivendo a cc@nextaudiolibri.com: l’immagine sarà rimossa oppure accompagnata dalla firma dell’autore, laddove non presente.

