Sì, ho assistito a un’evocazione.
Domenica 10 luglio Sergio Carlacchiani (voce) e QuartEight (musica) hanno evocato Giacomo Leopardi.
Complice il luogo incantato e incantevole – il Colle dell’Infinito– e complici soprattutto il talento e l’eccelsa professionalità degli interpreti, tutti vestiti in pompa magna per il gran ricevimento in onore del poeta di Recanati, Giacomo Leopardi è stato evocato davanti a un numeroso e disciplinatissimo pubblico.
Sergio Carlacchiani è attore dalla precisione maniacale, performer sopraffino.
QuartEight è un fresco ensemble formato da tre pianisti e una pianista, otto mani su due pianoforti a mezza coda Vialli [https://www.quarteight.it/].
La scelta dei testi e dei brani musicali sono perfetti per ripercorrere la vita e il pensiero del Poeta, ne seguono la crescita, ne sottolineano i passaggi chiave, ne amplificano la straordinarietà.
I primi anni
Il reading parte con una scelta davvero coraggiosa che suscita un fremito tra il pubblico: «Nacqui di famiglia nobile in una città ignobile». E sentire a Recanati queste parole di Giacomo fa un certo effetto.
Spetta poi al signor padre, Monaldo, in una lettera del luglio del 1837 a Ranieri, a descriverne circostanze della nascita, del battesimo e soprattutto il carattere da piccolo: «Da bambino fu docilissimo, amabilissimo, ma sempre di una fantasia tanto calda apprensiva e vivace, che molte volte ebbi gravi timori di vederlo trascendere fuori di mente».
Carlacchiani, a riprova di ciò, legge la lettera del dodicenne Giacomo indirizzata il 6 gennaio 1810 alla signora Volunnia Roberti, marchesa. Una bagatella, una monelleria: anche qui il pubblico reagisce, le parole fanno saltare dalla sedia, almeno saltano coloro che credono i Poeti uscire bell’e pronti con parole altisonanti e che reputano Leopardi come un noioso e pedante letterato, sempre triste e sconsolato.
Carlacchiani ha il merito di fare un’altra scelta coraggiosa, oltre ad avere il talento di leggerla alla maniera di un pre-adolescente. Ed eccola, l’evocazione. Ho visto sul palco un ragazzino, gioioso e monello, con penna d’oca e calamaio, scrivere in stampatello parole come piscia e merda, che si rivolge alla nobile signora con il termine stitica e definisce i figli con gli aggettivi ghiotti, indiscreti, somari scrocconi.
In conclusione, con sorriso beato, Giacomo si firma “La Befana”!
La maturità
Quando poi si sente uno dei più famosi incipit al mondo, il Sempre caro, è inevitabile che L’infinito risuoni dentro ogni persona presente. Ed è lì che forse risiede il terreno più scivoloso per un attore, perché declamare versi noti può far storcere qualche naso nei passaggi ascoltati o letti in altro modo.
Invece Sergio fa vibrare con nuova forza e intensità corde sopite, e con pause accorte fa percepire, nello splendido scenario notturno del Colle, quei sovrumani / [lunga pausa potente] silenzi. E il pubblico è rapito, sente con chiarezza il vento / […] stormir tra queste piante, che sono proprio le stesse piante di Giacomo.
Ed ecco l’altra evocazione: il poeta è lì, con noi, che gira e rigira tra gli alberi, che tocca le siepi, che medita, che passeggia per ore sul prato del Colle, e compone questa meraviglia. E la luna, pure, è lì con noi, in questa magica serata, e un’altra evocazione fa apparire Giacomo che la contempla.
A rendere possibile tutto ciò sono poesie come Il tramonto della luna e il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia lette con questa grande luna che ci sovrasta.
Gli ultimi anni
A concludere il percorso è toccante la lettera del padre citata in apertura, quella a Ranieri, scritta poco dopo la morte di Giacomo su richiesta del destinatario, a degna chiusura del recital. Ottima scelta anche questa.
Qui Carlacchiani fa sentire la tristezza di Monaldo, le sue passate preoccupazioni per le peregrinazioni di un figlio in giro per l’Italia (Roma, Milano, Ravenna, Firenze, Pisa…), un padre che a un certo punto ammette di averne addirittura smarrito le tracce: «Tutto ciò che riguarda il tratto successivo è più noto a Lei che a me».
E ci sono gli ultimi versi, i tristi pensieri, le riflessioni amare sulla natura matrigna, e la cupezza, e la disillusione.
Percorso di vita magistralmente raccontati in una semplice ma efficace formula che evoca il poeta di Recanati a casa sua davanti a un pubblico estasiato, quasi in trance, dall’inizio alla fine.
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