Castaway on the moon

Castaway on the Moon – L’altro lato della solitudine

Castaway on the Moon (2009) non è certo la prima opera che tratta il tema della solitudine, né la prima che tratta quello del naufragio – sia la letteratura che il cinema ne hanno parlato abbondantemente. Tuttavia il regista sudcoreano Lee Hae-jun offre una lettura comparata della solitudine.

Il protagonista del film è Kim Seung-geun, un uomo definito dai propri fallimenti, pieno di debiti e appena uscito da una relazione sentimentale. Non resta che farla finita, precisamente buttandosi dal ponte di Seul. Ma senza successo è pure il tentato suicidio e Kim si ritrova sull’isolotto di fronte alla città, senza saper nuotare e senza poter telefonare.

Un naufrago della società

In verità Kim era naufragato ai margini della società già molto tempo prima di essere trascinato dalla corrente sulla riva dell’isolotto. Aspettative asfissianti e incertezze senza scadenza avevano gradualmente ma inesorabilmente fatto colare a picco la sua esistenza, lasciandolo sprofondare negli abissi della disperazione.

Messo da parte il naturale panico iniziale, ciò che lo spettatore si trova davanti è un ritorno alle origini dell’umanità, quando si era guidati da schemi di comportamento primitivi: ogni azione è definitiva univocamente da un obiettivo. Uno spazio vagamente chiuso da poter chiamare “casa”, le prime forme di sostentamento basate su caccia e raccolta, e infine il passaggio – fondamentale nell’evoluzione della civiltà – all’agricoltura.

Castaway on the moon

Sembrano così lontani i ritmi frenetici di una civiltà anestetizzata dalla ricerca ossessiva del successo. In Castaway on the Moon la solitudine diviene il veicolo che guida la riscoperta dei bisogni primari, cadenzati da esigenze naturali e scevri dai meccanismi caotici del capitalismo.

Castaway on the Moon: un ponte invisibile fra solitudini

Uno sguardo sulla solitudine altrui spesso ci rende meno soli, giacché non è mai possibile stabilire con certezza l’equilibrio soggettivo fra la solitudine fisica e quella mentale.

Castaway on the moon

Nella fattispecie è Kim Jung-yeon, una giovane ragazza hikikomori, a rubare avidamente quello sguardo dalla lente del proprio telescopio con cui è solita osservare la luna. È confinata nella sua stanza, in un anonimo palazzo della città, e dalla finestra la sua vista cade proprio sul naufrago Kim.

Quello degli hikikomori è un fenomeno sociale molto diffuso in Giappone, ma presente in tutto il mondo. I ragazzi e le ragazze colpiti da questa sindrome – statisticamente si parla di un intervallo di età che va dai quindici ai trent’anni – si isolano nella propria stanza, eliminando qualsiasi forma di contatto sociale con l’esterno.

Inizia uno scambio di messaggi a distanza tra i due. Gocce di inchiostro versate e granelli di sabbia scavati sembrano propedeutici a erigere un ponte invisibile fra solitudini condivise. Vista e immaginazione sfrecciano su quel ponte in entrambe le direzioni, rubandosi l’un l’altra un pezzetto della propria solitudine.

L’epilogo dolceamaro di Castaway on the Moon vede il naufrago costretto a tornare alla scadente quotidianità cittadina, esaurendo quell’isolamento che ormai si era trasformato in vitalità e gioia di vivere. Ma la sequenza finale degli eventi offre altresì la possibilità alla giovane ragazza di reagire alla propria invalidante condizione.

Ecco che allora il ponte dove i loro sguardi avevano viaggiato avanti e indietro si materializza magicamente, paradossalmente consumando quella magia che solitamente caratterizza invece l’immaginazione.

L’altro lato della solitudine è incredibilmente terapeutico.


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